27 gennaio GIORNO DELLA MEMORIA - PER NON DIMENTICARE MAI

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view post Posted on 24/1/2012, 10:29
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Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:

« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. »


Origine


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Il senatore americano Alben W. Barkley, membro del comitato d'indagine del congresso sulle atrocità naziste, in ricognizione nel lager di Buchenwald il 24 aprile 1945

La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista.

Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall'ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.(vidia)

In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi, Chełmno, e Bełżec, ma questi campi detti più comunemente di "annientamento" erano vere e proprie fabbriche di morte dove i prigionieri e i deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo pochi "sonderkommando", che in italiano vuol dire unità speciale.

Tuttavia l'apertura dei cancelli ad Auschwitz, dove 10-15 giorni prima i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con sé in una "marcia della morte" tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento del lager.

In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l'Olocausto.


FONTE



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La Memoria e la nostra identità

di Renzo Gattegna, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane

Il 27 gennaio 2012, nel sessantasettesimo anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, celebriamo per la dodicesima volta in Italia il Giorno della Memoria.

Una data che viene ricordata contemporaneamente in molti Paesi europei, e che è divenuta, in questi anni, importante e molto sentita dalla popolazione e dalle istituzioni. Perchè il tentativo di annientamento degli ebrei d’Europa perpetrato dal nazismo e dai suoi alleati, nel segno di una ideologia criminale che si abbattè anche contro altre categorie, teorizzando la supremazia di uomini su altri uomini e portando l’Europa e il mondo a una immane catastrofe, è una parte della nostra storia collettiva che scuote le coscienze, spingendo le persone a chiedersi come possa essere potuto accadere.

Molti saggi e opere letterarie hanno posto questioni filosofiche e teologiche in merito alla tragedia della Shoah, quale abisso nella storia umana. Per questo, il monito che la Shoah rappresenta è valido per tutta l’umanità, e da esso nasce l’imperativo: dobbiamo conoscere quel che è stato, perché non dobbiamo permettere che accada di nuovo.

L’orrore per quanto avvenuto durante la seconda guerra mondiale fu alla base della fondazione di una Europa incentrata sui valori del rispetto dei diritti umani e della dignità di ogni persona. E proprio partendo dalla cesura storica che la Shoah rappresenta, fu promulgata nel 1948 dalle Nazioni Unite la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, il cui primo articolo, “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali, in dignità e diritti”, ne è il significativo fondamento.

L’Europa è culla e depositaria del bagaglio morale, filosofico e culturale che quegli eventi, tragicamente, ci hanno lasciato. E in un momento di crisi quale è quello che stiamo vivendo, è molto importante tenere presenti le radici e i valori sui quali si fonda il vivere nel nostro consesso civile. Perché la crisi può essere anche una risorsa, una opportunità e una occasione di riflessione e di verifica.
Al contempo occorre, senza allarmismi e con fermezza, tenere d’occhio le storture e i veleni, anche razzisti e xenofobi, che i momenti di difficoltà possono far emergere. Per questo oggi più di ieri dobbiamo prestare attenzione, operando per prevenire la deriva nazionalista e razzista di alcune frange della società, in Italia e all’estero.
Per molti secoli gli ebrei sono stati perseguitati perché legati tenacemente alla propria identità, e hanno dunque una plurisecolare esperienza dell’essere minoranza, molto spesso discriminata quando non perseguitata: la nostra storia può fungere dunque da esempio, per quei gruppi ed etnie che faticano a integrarsi e che ritengo costituiscano, per le moderne società plurali e multiculturali, un vero patrimonio.

Il Giorno della Memoria, che è stato istituito con una Legge dello Stato che coinvolge, ed è fondamentale, il mondo della scuola, in questi anni ha contribuito a generare in tanti giovani gli anticorpi contro il pregiudizio, a diffondere una cultura dell’accoglienza, del rispetto delle diversità. E anche, ci auguriamo, a stimolare la voglia di conoscere, di studiare, di approfondire la storia.
Determinanti sono stati gli incontri con i testimoni della Shoah. E’ grazie alla loro disponibilità, che a volte comporta per essi impegni non poco gravosi, che è possibile tramandare una esperienza diretta di quanto avvenne nei campi di sterminio nazisti, e per questo desidero indirizzare loro il mio caloroso ringraziamento e un affettuoso abbraccio.

Nel 2012 cade il venticinquesimo anniversario dalla scomparsa di Primo Levi, lo scrittore torinese che con le sue alte testimonianze ha contribuito a descrivere e decifrare la barbarie dei campi di sterminio. I suoi libri sono un patrimonio di tutto il mondo, e uno degli strumenti di conoscenza di maggior valore.
“Se capire è impossibile, conoscere è necessario”, ha scritto. E’ con un pensiero rivolto a lui, fondamentale testimone e divulgatore dell’odissea e della tragedia degli ebrei italiani, che intendo salutare le iniziative e le celebrazioni del Giorno della Memoria 2012.



fonte



SE QUESTO E' UN UOMO - PRIMO LEVI


Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:

considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome,
senza più forza di ricordare,
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore,
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca
i vostri nati torcano il viso da voi.



Se questo è un uomo

Se questo è un uomo
Autore Primo Levi
1ª ed. originale 1947
Genere Memorie
Lingua originale italiano
Ambientazione Auschwitz, 1943 - 1945
Protagonisti Primo Levi



Se questo è un uomo è un romanzo autobiografico di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente ma riflettuta testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Levi ebbe infatti la fortuna di sopravvivere alla deportazione nel campo di Monowitz - lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell'impianto Buna-Werke proprietà della I.G. Farben.

« Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no. »


Scrittura e pubblicazione

Il testo venne scritto non per vendetta, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è scritto per soddisfare questo bisogno. Il romanzo, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l'accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l'esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi, da parte dell'autore, di spiegare in qualche modo l'incredibile verità dei lager nazisti.

Il manoscritto fu inizialmente rifiutato da Einaudi e venne pubblicato dalla casa editrice Francesco De Silva, che ne stampò però solo duemilacinquecento copie. Il successo e la notorietà del libro si fecero attendere fino al 1958, anno in cui il romanzo venne pubblicato da Einaudi.

Anche dopo la pubblicazione, comunque, la scrittura dell'esperienza personale vissuta alla fine della guerra rimase perennemente un lavoro in corso. Successivamente a Se questo è un uomo venne infatti pubblicato il romanzo La tregua, che descrive l'interminabile viaggio nei paesi dell'est in cui era stato coinvolto Levi dopo la liberazione del campo. Quest'opera deve il suo titolo al fatto di rappresentare una fase in cui la mente del protagonista resta in parte libera dal pensiero assillante della prigionia. Un pensiero che comunque lo avrebbe riassalito al momento di ritornare a casa e anche negli anni successivi. Nel 1986, ad esempio, venne alla luce il saggio I sommersi e i salvati, che tornava a trattare la tematica del lager.

Tematiche


Lager di Auschwitz

È molto importante, da parte dell'autore, lo scopo di alternare la testimonianza del vissuto ad altri scorci in cui egli assume la prospettiva dello scienziato (si ricorda che Primo Levi era un chimico e che svolse queste mansioni anche nel campo di concentramento): la società dei detenuti funziona secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato.

Ricoprono tra l'altro un ruolo di primo piano le descrizioni dei rapporti sociali: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sulle dinamiche di gruppo dei detenuti, indicando come alcune regole di fratellanza o di civile convivenza vengano, per cause di forza maggiore, messe a tacere. Hanno del resto un ruolo di primo piano le doti di carattere, gli stratagemmi ed i sotterfugi necessari per appartenere al gruppo dei privilegiati che sopravviveranno, se non all'intera durata della detenzione, almeno al prossimo periodo di crisi e terrore. La morte è sempre presente, viene però vissuta come un evento ineluttabile della quotidianità.

Dopo i versi introduttivi, la prefazione spiega quanto importante sia stato, per l'interessato, il fatto di essere stato internato solo nel 1944, periodo in cui le condizioni dei prigionieri erano ormai migliorate. L'autore dichiara di non aver inventato nessuno degli avvenimenti narrati.

Riassunto

Gergo di Auschwitz ed espressioni comuni



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Di seguito sono riportati alcuni termini utilizzati dai deportati del campo di Auschwitz. In maniera analoga i detenuti di molti campi di concentramento svilupparono termini simili, ma in questo approfondimento si fa riferimento esclusivamente quelli utilizzati nel complesso di Auschwitz.

Block («blocco» o «baracca»): identificava le unità abitative dove alloggiavano i deportati, in condizioni di inimmaginabile sovraffollamento, costringendoli a dormire in 3-4 per ogni pagliericcio disponibile.
Blocksperre («chiudere i blocchi»): un ordine che imponeva a tutti i prigionieri di rientrare nei loro blocchi. Quest'ordine veniva impartito comunemente in vista di una selektion per evitare che gli internati vi si sottraessero.
Häftling («prigioniero»): termine che definiva l'internato. Spesso era utilizzato in associazione con il numero di matricola tatuato sull'avambraccio sinistro per identificare uno specifico prigioniero. Ad esempio, Primo Levi era Häftling numero 174.517.
Ka-Be (abbr. di Krankenbau): l'infermeria del lager.
Kapo: termine generico che indicava un detenuto che ricopriva una carica all'interno del campo e che spesso esercitava il comando su altri deportati.
Kommando: squadra di lavoro.
Muselmann («musulmano»), pl. Muselmänner: termine di origine ignota che indicava un prigioniero sfinito dal lavoro e dalla fame, senza più alcuna volontà di sopravvivenza, destinato alla selektion.
Prominent: prigioniero che godeva di una condizione privilegiata rispetto agli altri internati.
Selektion («selezione»): selezione tra gli abili al lavoro e coloro da inviare immediatamente alle camere a gas effettuata dal personale medico tedesco all'arrivo dei convogli di deportati. Il termine indicava anche i periodici controlli medici effettuati all'interno del campo per selezionare ed eliminare i prigionieri più deboli (Muselmänner).
Sonderkommando: kommando, composto da prigionieri segregati, che lavorava presso i forni crematori e aveva l'obbligo di collaborare alle operazioni di smaltimento dei cadaveri.
L'enunciazione di eventi e situazioni segue tendenzialmente l'ordine cronologico, nonostante vi siano numerose eccezioni.

Il primo capitolo (Il viaggio) spiega la situazione degli ebrei italiani deportati a Fossoli nel campo di transito. Il trasferimento in Germania è comunque imminente e la maggior parte dei prigionieri sa di andare incontro alla morte quasi sicura. Il treno fa tappa al Brennero, a Salisburgo, a Vienna e ancora in Polonia. Nella carrozza ferroviaria i deportati vengono trasportati in condizioni disumane, sicché parecchi di loro muoiono.
Nel secondo e nel terzo capitolo (Sul fondo ed Iniziazione) vengono descritte le prime scene nel campo di concentramento. A ciascuno dei prigionieri, chiamati in tedesco Häftling, viene assegnato un numero che costituisce la loro nuova identità con decorrenza immediata. Si tratta di una identità carica peraltro di significati fin dall'inizio. Al suo arrivo, il protagonista ignora ancora che grazie a quelle cifre è possibile stabilire provenienza e grado di anzianità dei vari prigionieri. Fin troppo in fretta si apprendono le prime leggi del campo, come quella di non fare domande, di fingere di capire tutto, di saper apprezzare il valore di oggetti essenziali alla sopravvivenza come le scarpe ed il cucchiaio. Primo Levi tiene molto a spiegare il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. Vengono inoltre illustrate le funzioni delle varie baracche, i cosiddetti Block che formano il lager.
Ka-Be è il nome abbreviato dell'infermeria (baracca detta Krankenbau) che dà il titolo al quarto capitolo. In seguito ad un problema al piede, Levi viene assegnato a questo blocco, fatto che gli concede una sorta di tregua, ma non di vera e propria speranza. Come dovrà capire, il numero che il protagonista porta tatuato sul braccio si trova di poco al di sotto di duecentomila: dato che il campo ospita poche decine di migliaia di persone, è logico che centinaia di migliaia di persone sono state uccise o sono morte di stenti. Del resto, nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte delle persone ancora vive è destinata a morire a medio termine. È questo quanto un gruppo di prigionieri ebrei fa capire a Levi, non senza fargli sentire un certo disprezzo. Questo atteggiamento ostile è in parte dovuto al fatto che il protagonista - essendo italiano - non parla la loro lingua, lo yiddish.
Il quinto capitolo Le nostre notti contiene tra l'altro una celebre pagina in cui il protagonista illustra il suo dormiveglia, una situazione nella quale i confini tra realtà e sogno si dissolvono. Si tratta dunque di un sonno che non regalerà mai il necessario riposo. Ogni notte infatti Levi, come gli altri internati, è periodicamente assalito da due incubi ricorrenti: Il primo riporta l'autore a casa, ignorato dai suoi amici e familiari mentre racconta le atrocità subite nel lager, il secondo illude invece Levi d'aver davanti a sé del cibo che poi scompare repentinamente ogni qual volta prova a mangiarlo.
Il lavoro, sesto capitolo, illustra tra l'altro la scarsa predisposizione di Levi ai lavori pesanti: dovendo trasportare carichi di grosse dimensioni, il protagonista rischia di morire estenuato. Ciononostante, Levi approfitta della solidarietà del compagno Resnyk, il quale lo aiuta generosamente nei compiti più gravosi.
Il settimo capitolo, Una buona giornata, presenta una nuova fase di tregua nella vita del lager. Il fatto di poter mangiare a sazietà costituisce un evento eccezionale per i prigionieri, dato che le dosi stabilite legalmente non coprono il fabbisogno energetico giornaliero. La parvenza di un minimo di normalità, d'altro canto, favorisce il riemergere della tristezza, altrimenti rimossa durante le giornate dominate dalle percosse, dalla fame e dalla spossatezza.
Il titolo dell'ottavo capitolo, Al di qua del bene e del male, allude all'opera Al di là del bene e del male di Nietzsche. Al contrario dell'eroe niciano, il prigioniero del lager viene presentato nella sua nullità. Questo capitolo illustra soprattutto il significato e le ripercussioni di un fatto apparentemente banale come il cambio della biancheria (il cosiddetto Wäschetauschen). Infatti, il lager dispone di una vera e propria borsa soggetta a regole descrivibili con una certa precisione, e sul mercato del lager le camicie dei prigionieri vengono utilizzate come merce di scambio. Si tratta di oggetti il cui prezzo è soggetto a sbalzi e ad improvvise cadute, in funzione dei capricci del mercato: oltre ai meccanismi di domanda e offerta, giocano un ruolo molto importante le manovre di speculazione messe in atto dai prigionieri.
Uno dei capitoli di maggiore importanza è senza dubbio il nono, dedicato a i Sommersi ed i salvati: Levi spiega come questa distinzione (tra candidati alla sopravvivenza o alla morte) sia per lui di importanza assai maggiore rispetto a quelle di bene e di male (praticamente impossibili da definire in maniera obiettiva). Passa quindi ad illustrare le vicende di alcuni detenuti a mo' di exempla. Il miglior modo per sopravvivere è senza dubbio quello di conquistarsi un posto al sole facendosi incaricare di mansioni speciali, diventando ad esempio un cosiddetto Kapo. La maniera ideale per far parte dei votati alla morte sicura è invece quello di adattarsi alle regole ufficiali del campo, per poi indebolirsi lentamente a causa dell'esaurimento, della denutrizione e delle malattie. (Il titolo di questo capitolo verrà ripreso come titolo dell'importante saggio del 1986).
Esame di chimica: in seguito a questa prova sostenuta presso il dottor Pannwitz, Levi viene ammesso alle mansioni di laboratorio. È questo uno dei principali fattori a garantirne la sopravvivenza nel lager, sottraendolo al destino dei cosiddetti Muselmänner, cioè dei votati alla morte certa.
L'undicesimo capitolo, Il canto di Ulisse, è ispirato al ventiseiesimo canto dell'inferno, in cui viene narrata la vicenda umana di Ulisse, guidato - come Dante e come Levi - dalla sete di sapere: il protagonista cerca di ricordarsi i versi danteschi e di tradurli ad un suo compagno di prigionia.
I fatti dell'estate: questo capitolo si riferisce al tracollo militare dei tedeschi, fatto peraltro noto ai prigionieri. Neanche alla fine della guerra, dopo lo sbarco in Normandia e la gigantesca controffensiva sovietica in Russia si sviluppa tra gli Häftling una speranza duratura: i fronti alleati sono infatti lontanissimi, mentre la necessità di risolvere gli impellenti problemi della sopravvivenza quotidiana continua ad essere onnipresente.
Ottobre 1944 (tredicesimo capitolo) illustra la sopravvivenza di Levi ad una retata di selezione da parte dei nazisti, mentre il capitolo Kraus (quattordicesimo) propone il ritratto di un prigioniero del lager.
Die drei Leute vom Labor (le tre persone del laboratorio) descrive alcune impressioni sulla nuova vita da chimico del protagonista, senza tuttavia approfondire le funzioni specifiche del laboratorio, né le mansioni svolte dal narratore. La presenza di tre donne crea un effetto estraniante.
Ne L'ultimo viene rappresentata la figura amica di Alberto, il bresciano Alberto Dalla Volta, già nota dai capitoli precedenti. Costituisce di una specie di alter ego per il protagonista. Si tratta di un personaggio sempre solidale ed estremamente ricco di inventiva e diplomazia, nonché di una figura assai amata nel campo.
Scritto sotto forma di diario, Storia di dieci giorni costituisce l'epilogo della vicenda. Siccome l'arrivo dell'Armata Rossa è oramai imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo facendo partire da Auschwitz almeno i prigionieri sani. Dato che si è ammalato di scarlattina e che al momento è in preda alla febbre, Levi è ricoverato e viene escluso dal trasferimento, senza sapere che però questa spedizione finirà per portare i prigionieri verso la morte. È questa la sorte riservata ad Alberto, anche se il libro non lo conferma. Sopravviveranno invece molti degli Häftling che, come Primo, sono malati e rimangono nel campo. Primo e altri due prigionieri si daranno da fare per aiutare gli altri malati della loro baracca mentre aspettano l'arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio 1945.
Lettura

Le riflessioni dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista ed affiancarlo idealmente nella sua esperienza. Per questo, la lettura del libro è un'esperienza intensa per il lettore, il quale rivive insieme all'autore tutta la sofferenza di quei giorni. Si tratta inoltre di una esperienza che porta alla riflessione e che non di rado fa sorgere delle domande. Per esempio, il lettore sarà spesso stupito dal fatto che nel libro si stenta a trovare un giudizio morale negativo nei confronti di chicchessia. Si cercherà quindi invano una qualche espressione di rancore nei confronti del nazismo. La mancanza di sentimenti del genere fece parlare di un modo di scrivere classico, che poneva Levi tra i grandi della letteratura. Primo Levi spiegò in seguito ai lettori che era sua intenzione quella di mantenere un approccio razionale, assumendo il ruolo del testimone e lasciando al lettore il compito di formarsi un'opinione sull'accaduto. Nondimeno, come riportato nell'appendice al romanzo, a Levi venne chiesta una spiegazione sull'origine dell'antisemitismo nazista. Questa, secondo l'autore, andava inquadrata in un fenomeno più ampio, quello dell'ostilità sviluppata nei confronti dei diversi.

Il lettore intuisce che l'esperienza del lager può simboleggiare, in qualche modo, un qualcosa di più ampio che può arrivare ad abbracciare l'intero mondo della condizione umana, tematica del resto indicata dal titolo del romanzo.

La metafora dell'Inferno dantesco



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Cancello del lager: Arbeit macht frei ("il lavoro rende liberi")

Come accennato a proposito del capitolo dedicato ad Ulisse, si incontrano ripetutamente nel libro riferimenti alla Divina Commedia: la detenzione in un lager viene in qualche modo visto come viaggio nell'oltretomba, in un mondo dal quale si crede di non poter più uscire, similmente a quanto accade nell'Inferno dantesco. Si propongono alcuni dei numerosi riferimenti intertestuali all'opera di Dante:

Il viaggio verso il lager può essere visto come il trasporto delle anime da traghettare verso l'inferno attraversando il fiume Acheronte, laddove un soldato del campo copre un ruolo simile a quello del tremendo nocchiero Caronte all'arrivo ad Auschwitz. A differenza di Caronte, il soldato nazista si esprime con un tono grottescamente cortese per farsi consegnare gli oggetti di valore dei prigionieri.
La tristemente nota scritta sul portone di accesso (Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi) viene proposta come una riscrittura dell'incipit del terzo canto dell'Inferno: nella cantica dantesca, la frase formulata in prima persona indica che attraverso la porta, si accede al mondo dei dannati: (Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente).
L'infermeria, detta Ka-Be, viene paragonata al limbo, un mondo escluso dalle categorie del bene e del male, privo di punizioni vere e proprie e, in un certo senso, un momento di tregua durante l'avventura del lager nazista.
Al momento di sostenere l'esame di chimica per essere trasferito in laboratorio, il protagonista si imbatte nel dottor Pannwitz, che rassomiglia in qualche modo ad un giudice infernale. Come il Minosse dantesco (che assegna a ciascuna delle anime dannate un determinato cerchio dell'inferno e quindi una punizione), il dottore ha la facoltà di decidere delle mansioni e del destino altrui. Secondo la narrazione di Levi, il Pannwitz siede formidabilmente: si tratta di un riferimento nascosto al quinto Canto dell'Inferno (Stavvi Minòs orribilmente e ringhia, v. 4).
Nel capitolo Sul fondo, si indica lo stato di brutale sovvertimento dei valori morali all'interno del lager con i celebri versi danteschi: Qui non ha luogo il Santo Volto! / Qui si nuota altrimenti che nel Serchio!



Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.





Edited by marisa56 - 7/1/2021, 18:02
 
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Shoah, che il ricordo sia sempre vivo



Continuando a ricordare e commemorare corriamo forse il rischio di smarrire il senso più profondo del nostro passato? Il 27 gennaio del 2012 deve essere ancora una grande opportunità per confrontarci con la barbarie che, in ogni momento ed in ogni punto del mondo, può risorgere fiera e travolgere il presente.



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Nell'epoca del «quarto potere» in cui le informazioni viaggiano alla velocità di un click da ogni parte del pianeta, è sempre più complesso riuscire a ricordare eventi tragici come la Shoah senza correre il rischio di essere estremamente retorici, sterilmente commemorativi, banalmente didascalici. Si potrebbe dire che ormai conosciamo benissimo la storia dei campi di sterminio, del perfetto sistema orchestrato da Adolf Hitler e dai suoi fedeli servitori, di quella «soluzione finale» oggettivamente ad un passo dall'essere attutata; siamo cresciuti o invecchiati guardando alle immagini dei volti perduti di quei poveri uomini (parafrasando Primo Levi, tuttavia, considerate se quelli erano uomini), delle montagne amare di cadaveri, degli occhi asciutti del fondo della disperazione, delle divise e delle sigle sul braccio, estrema umiliazione prima di scendere nell'immeritato inferno.

Ed è proprio in questa grande conoscenza che abbiamo acquisito, o che per la precisione crediamo di aver acquisito, che si cela la più grande insidia dei nostri tempi: che continuando ad assistere al succedersi di Giornate della Memoria delle vittime del nazismo e del fascismo, quelle immagini si svuotino del proprio significato, diventando in assoluto pura e rinnovata iconografia dei nostri tempi; che distrattamente iniziamo ad accoglierle come una semplice «ricorrenza» e non come l'occasione per riflettere sulle mostruosità che si annidano nell'umanità, anche in quelle persone comuni che non parteciparono attivamente alle più atroci brutalità commesse dalla dittatura, ma furono correi a causa del proprio silenzio, della propria deliberata volontà di non guardare al di là del proprio naso; ugualmente colpevoli poiché hanno scelto di abituarsi al più grande degli orrori senza battere ciglio.

Il rischio che si corre ricorda quello che Bertold Brecht, pochi anni prima della presa del potere da parte dei nazisti in Germania, esemplificava con un racconto amaro nella sua «Opera da tre soldi»: la prima volta che un uomo vedrà un mendicante all'angolo della strada con un moncherino al posto del braccio rimarrà così turbato «da dargli senz'altro dieci scellini», ma la seconda volta saranno soltanto cinque; e alla terza lo consegnerà direttamente alla polizia. Ecco cosa dobbiamo temere più di ogni altra cosa: che, a distanza di anni da quell'episodio, quel che è accaduto non ci sconvolga più come dovrebbe e che, in un giorno troppo lontano, noi stessi inizieremo a chiudere gli occhi o, peggio, puntare i nostri indici colpevoli verso quelli che, occasionalmente, ci piacerà definire «diversi».

I sessantasette anni che ci separano, oggi, dall'apertura dei cancelli di Auschwitz non devono essere una ragione per scivolare in una tenue e lenta dimenticanza, in un'attenuazione dei sentimenti, per rinegoziare la realtà di quello che è stato il più grande orrore che la storia dell'umanità possa ricordare: anche se ormai siamo abituati a sentirlo dire non bisogna mai stancarsi di rinnovare il ricordo che milioni di vittime esigono da noi. Fino alla fine della sua drammatica esistenza Primo Levi ha continuato a rammentarci che la Shoah doveva essere soprattutto un monito per tutti noi, affinché nulla di quello che è accaduto potesse mai più ripetersi, non solo nel cuore dell'Europa, ma in qualunque angolo di mondo, con nuovi volti, magari più puliti e meno minacciosi, e forme differenti, ma con la medesima avidità di sangue e potere nella sostanza.



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L'Addio Infinito

Nel Giorno della Memoria. Le parole appaiono inadeguate, l' immaginazione, per quanto si sforzi, resta indietro un abisso: alla morte, al dolore, alle lacrime, all'ingiustizia...all'uomo che perse se stesso. Solo un pensiero.

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La mano che l’aggrappa,

il fucile che scalpita,

gli occhi sgranati di un bambino impaurito,

le urla di mamma a scandire l’addio.

Le lacrime scendono, il cuore si spezza,

con le mani giunte prega l’Iddio

che finisca il tormento, l’orrore in oblio.

L’uomo finisce, la bestia che insorge,

risposte non trova la mente violata,

solo un abbraccio diventa la vita,

la luce si è spenta, il sole a mezzogiorno.

Scende la notte, in cielo la luna,

il freddo pungente non è una tortura,

solo un pensiero che blocca il respiro:


dove sei o mia piccola creatura?

Mamma ti penso, vorrei averti accanto,

tra il filo spinato di un campo smarrito

ovunque ti cerco, la tua voce, il sorriso.

L’epilogo è pronto, il mio cuore è già morto,

la più grande tra le pene,

perché mai più potrai sentirmi dire:

Mamma ti voglio bene!

Tu che scrivi non puoi immaginare,

solo una prece per rimembrare:

io non muoio da solo, con me l’Umana Ragione

soccombe al delirio di un solo padrone,

alza il capo, grida forte che dal cielo ti possa sentire:

“Mai più così in basso l’uomo possa finire!”

Vincenzo Basile



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Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

 
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view post Posted on 27/1/2013, 00:04
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Giornodeiia_Memoria
 
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LA NOTTE.

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

(Elie Wiesel – Premio Nobel per la pace 1986)

 
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Lory-19
view post Posted on 27/1/2013, 21:24




Il 7 dicembre del 1942, mio zio, fratello di mio padre che all'epoca aveva 25 anni, fu fatto prigioniero e deportato in un campo di concentramento in Polonia, dove vi rimase fino alla fine di ottobre del 1943. Lui di professione faceva il falegname e i tedeschi lo facevano lavorare nel campo. Costruiva i cosiddetti "dormitori conigliera".
I prigionieri venivano alimentati solamente con patate bollite e molti morivano di fame. Riusci' a fuggire insieme ad altri due italiani, grazie all'aiuto di una donna polacca che aveva accesso al campo di prigionia in quanto cuoca degli ufficiali tedeschi. Quando tornò a casa era irriconoscibile, ridotto ad uno scheletro, cosi' denutrito che mia nonna stentò a riconoscerlo. Ma per fortuna salvo.

Mio padre invece fu fatto prigioniero con altri 11 compaesani, accusati di essere partigiani, il 21 gennaio 1943. Aveva soli 21 anni.
Fu portato nelle carceri di Novara in attesa di essere deportato in un campo di concentramento in Germania
In quelle carceri c'erano circa un centinaio di prigionieri, tenuti al freddo e quasi senza cibo.
Ogni giorno i tedeschi aprivano la porta di una cella, prelevavano due prigionieri, li portavano in cortile e, dopo averli massacrati di botte, li fucilavano.
Dopo 5 giorni Novara venne bombardata.
Mio padre con altri 3 compagni fuggi' attraverso uno squarcio che si era aperto nel muro della cella, si nascose arrampicandosi su di un albero nel cortile delle carceri e vi rimase fino alla notte seguente.
Approfittando poi dell' oscurità riusci' a calarsi aldilà delle mura e a nascondersi nella vicina campagna
Tornò casa a piedi, camminando di notte e nascondendosi di giorno.
I prigionieri rimasti, compresi alcuni compaesani, furono deportati a Auschwitz e furono tutti uccisi.
 
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view post Posted on 20/1/2014, 18:31
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WdMZvBH

SHOAH

PENSIERI POESIE IMMAGINI
E NON SOLO…
PER NON DIMENTICARE


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Prima di dar un modesto contributo alla memoria
di questa giornata desidero
esprimere qualche piccolo pensiero personale.


Quello che più mi rattrista ed indigna è che
quanto accaduto è stato un frutto diabolico
di quella che riteniamo, e giustamente,
la nostra grande civiltà europea…

http://tg24.sky.it/static/contentimages/or...zisti_05_1.jpeg

Aggiungo poi che oggi,
da varie parti in Italia e nel mondo
c'è il tentativo di crear un confuso calderone
e così mischiando le carte
non riconoscere e/o sminuire l'immensa vergogna…
per tutto il genere umano…
del genocidio…

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Ci sono poi anche i negazionisti…
che non solo offendono la memoria delle vittime…
ma anche la realtà… la storia e la nostra intelligenza.


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SE QUESTO E’ UN UOMO
Primo Levi

«Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi, alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi».



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C’E’ UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE
Joyce Lussu

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora
la marca di fabbrica
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti
non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.



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E' un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze

perché esse sembrano assurde e inattuabili.


Le conservo ancora, nonostante tutto,

perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo.

Anna Frank


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Anna Frank - Aforismi e Frasi Celebri

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Ebrea Tedesca vittima della Shoah
(1929 - 1945)



La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta.
***
Pensa a tutta la bellezza ancora intorno a te e sii felice.
***
Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei.
***
Una cosa però l'ho imparata: per conoscere bene la gente bisogna averci litigato seriamente almeno una volta. Solo allora puoi giudicarne il carattere.
***
Sono felice di natura, mi piace la gente, non sono sospettosa e voglio vedere tutti felici e insieme.
***
Quanto sarebbero buoni gli uomini, se ogni sera prima di addormentarsi rievocassero gli avvenimenti della giornata e riflettessero a ciò che v'è stato di buono e di cattivo nella loro condotta!
***
Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora.
***
Trovo meraviglioso quello che mi succede, e non soltanto quello che è visibile all'esterno del mio corpo, ma quello che vi si compie internamente. Appunto perché non parlo mai con nessuno di me e di queste cose, ne parlo con me stessa.
***
È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare.
Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore.
***
Ah, quante cose mi vengono in mente di sera quando sono sola, o durante il giorno quando debbo sopportare certa gente che mi disgusta o che interpreta male tutte le mie intenzioni! Perciò finisco sempre col ritornare al mio diario, è il mio punto di partenza e il mio punto di arrivo, perché Kitty è sempre paziente; le prometterò che nonostante tutto continuerò a fare la mia strada e a inghiottire le mie lacrime.
***
È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo.
***
I genitori possono solo dare ai figli buoni consigli o indirizzarli sulla buona strada, ma la formazione definitiva della personalità di una persona è nelle mani della persona stessa.
***
Viviamo tutti con l'obiettivo di essere felici; le nostre vite sono diverse, eppure uguali.
***
A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio.
***
Chi è felice farà felici anche gli altri, chi ha coraggio e fiducia non sarà mai sopraffatto dalla sventura.



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Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita dal Parlamento italiano con legge n. 211 del 20 luglio 2000.
Il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, scoprirono il tristemente famoso campo di concentramento di Auschwitz, liberandone i sopravvissuti. Questa giornata celebra quindi le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell'Olocausto e coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.


27/01 : PER NON DIMENTICARE.

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Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita dal Parlamento italiano con legge n. 211 del 20 luglio 2000.
Il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, scoprirono il tristemente famoso campo di concentramento di Auschwitz, liberandone i sopravvissuti. Questa giornata celebra quindi le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell'Olocausto e coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

27/01 : PER NON DIMENTICARE.


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Il pontefice a Gerusalemme nel mausoleo del genocidio
"La chiesa cattolica è profondamente addolorata"

Il Papa: "Nessuno dimentichi
la tragedia dell'Olocausto"

Barak: "Questo viaggio guarisce
le ferite del passato"


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GERUSALEMME - "Nessuno dimentichi l'Olocausto", dice Giovanni Paolo II, in visita al mausoleo dell'orrore, il mausoleo del genocidio a Gerusalemme. Rispondendo all'intervento del premier israeliano, Barak ("Israele è una nazione che ricorda, non possiamo dimenticare la Shoah, ma il viaggio del Papa guarisce le ferite del passato") il pontefice, tra la commozione generale, e dopo essersi inginocchiato davanti alla fiamma che ricorda i sei milioni di ebrei sterminati durante la seconda guerra mondiale, articola il suo lungo discorso. Non fa mea culpa, Giovanni Paolo II, come sperava Israele, ma usa parole dure, parole forti, di condanna dell'Olocausto e dell'antisemitismo, sottolineando che la Chiesa "rifiuta ogni forma di razzismo".

"Sono venuto qui - dice il Papa - a Yad Vashem, per rendere omaggio ai milioni di ebrei che, privati di tutto, in particolare della loro dignità umana, furono uccisi nell'Olocausto. Più di mezzo secolo è passato, ma i ricordi permangono. Qui, come ad Auschwitz e in molti altri luoghi in Europa, siamo sopraffatti dall'eco dei lamenti strazianti di così tante persone. Uomini, donne e bambini gridano a noi dagli abissi dell'orrore che hanno conosciuto. Come possiamo non prestare attenzione al loro grido? Nessuno può dimenticare o ignorare quanto accadde. Nessuno può sminuirne la sua dimensione. Noi vogliamo ricordare!"

"Vogliamo però ricordare - riprende - per uno scopo, ossia per assicurare che mai più il male prevarrà, come avvenne per milioni di vittime innocenti del nazismo. Come potè l'uomo provare un tale disprezzo per l'uomo? Perché era arrivato al punto di disprezzare Dio. Solo un'ideologia senza Dio poteva programmare e portare a termine lo sterminio di un intero popolo".


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"La Chiesa cattolica è profondamente addolorata dall'odio, dagli atti di persecuzione e dagli atti di antisemitismo diretti contro gli ebrei dai cristiani in ogni luogo e tempo. In questo luogo della memoria - aveva detto all'inizio del discorso - la mente, il cuore e l'anima provano un estremo bisogno di silenzio. Silenzio nel quale ricordare. Silenzio nel quale cercare di dare un senso ai ricordi che ritornano impetuosi. Silenzio perché non vi sono parole abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della Shoah. Io stesso ho ricordi personali di tutto ciò che avvenne quando i nazisti occuparono la Polonia durante la guerra. Ricordo i miei amici e vicini morti".

Prima della visita al mausoleo dell'Olocausto, Giovanni Paolo II, stamattina, ha celebrato messa nella sala del Cenacolo che forse tornerà ai cristiani, poi ha avuto un incontro con i due rabbini-capo d'Israele e con il presidente Weizman.

L'incontro con i due rabbini, carico di significati, ma criticato da una parte della comunità israeliana, è stato breve, dieci minuti, e intenso. I rabbini hanno regalato al pontefice una copia del Vecchio Testamento. "Rimangono tra noi differenze teologiche e ideologiche - ha detto Bakshi-Doron al Papa - ma ci troviamo di fronte ad una sfida comune: quella della globalizzazione e della tecnologizzazione".

Sempre stamattina, nella sala del Cenacolo, il luogo dove si svolse l'Ultima Cena, Giovanni Paolo II è apparso stanco ed emozionato. Ha celebrato la messa con 12 vescovi, rappresentanti dei 6 riti cattolici orientali. "E'con profonda emozione che ascoltiamo ancora una volta le parole pronunciate qui, nella Sala Superiore, duemila anni fa. Da allora, sono state ripetute, generazione dopo generazione, da quanti condividono il sacerdozio di Cristo mediante il sacramento dell'Ordine", ha detto. Il Cenacolo è stato requisito nel '67 dagli israeliani ad una famiglia araba: fino al 1550, prima di essere trasformato in moschea dagli ottomani, era però di proprietà dei Francescani della Custodia di Terra Santa. Ora potrebbe ritornare di proprietà cattolica ed essere trasformato in un santuario.


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Himmler alla moglie: "Vado a Auschwitz, baci".
Lettere nell'orrore della Shoah


Pubblicate 700 missive del carteggio del capo delle SS con Margarete Siegroth. Ossessione antisemita, ma soprattutto i toni di agghiacciante leggerezza con cui il gerarca nazista attraversava l'Olocausto

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BERLINO - In viaggio verso Auschwitz come se andasse in gita di piacere. E' lo spirito che traspare da alcune delle 700 lettere private scritte dal capo delle SS alla moglie Margarete Siegroth (Marga) dal 1927 fino a cinque settimane prima del suo suicidio nel 1945, Heinrich Himmler si recava in visita di ispezione al campo di sterminio. Il tono e il contenuto del carteggio - a parte la vera ossessione antisemita che accomunava i coniugi - lasciano inorriditi per il tono di leggerezza e assoluta normalità con cui sia il capo delle SS che la sua Marga attraversavano e vivevano l'olocausto. Un ennesimo, agghiacciante esempio di quella "banalità del male" su cui Hannah Arendt costrinse il mondo a ragionare per fare im conti con la Shoah.

Le lettere sono rimaste a lungo nell'archivio privato di una famiglia di ebrei israeliani. Il domenicale 'Welt am Sonntag' (WamS) ne pubblica alcuni estratti. "Vado a Auschwitz. Baci, il tuo Heini", scriveva il braccio destro di Hitler a Marga, senza fare il minimo accenno agli orrori che si perpetravano in quel lager.

Nel corso di un altro viaggio di ispezione dei lager eretti dai nazisti in Polonia, Himmler scriveva alla moglie il 15 luglio 1942: "Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionerà il telefono. Fino a Gmund (residenza familiare bavarese sulle rive del lago Tegernsee, ndr), saranno oltre 2.000 chilometri. Saluti e baci! Il tuo Pappi". Himmler e Marga, di professione infermiera e di sette anni più anziana di lui, si erano conosciuti e subito innamorati nel settembre 1927 durante un viaggio in treno da Berchtesgaden a Monaco di Baviera.

Già all'inizio di gennaio 1928 Marga scriveva però al fidanzato definendolo "un uomo cattivo dal cuore duro e ruvido", ottenendo a stretto giro di posta il 3 gennaio l'autodifesa di Himmler: "Credimi, il tuo lanzichenecco non ha un cuore né duro, né ruvido, del resto tu lo sai meglio di chiunque 'piccola' donna". Da subito, ancor prima che Hitler arrivasse al potere, ad accomunare i due era anche il loro radicato antisemitismo, che per Marga era un fatto acquisito sul quale non era necessario spendere troppe parole.






300px-Himmler

Riguardo agli ebrei scriveva il 2 novembre 1927 che "i fatti parlino da soli, a che servono questi commenti?"; mentre in lettere successive ogni volta che parlava degli ebrei le definizioni ricorrenti erano "canaglie ebraiche" o semplicemente "canaglie", delle quali il 27 febbraio 1928 scriveva di avere "terrore", ricevendo in questo suo atteggiamento il pieno sostegno del fidanzato.

"Povera cara, a causa dei soldi devi farti spellare da questi miserabili ebrei", scriveva il futuro capo delle SS il 16 aprile 1928 a Marga, con la quale si sarebbe sposato qualche mese dopo e che prima delle nozze aveva ceduto le sue azioni di una clinica berlinese all'altro comproprietario ebreo Bernhard Hauschild. "Questo Hauschild, un ebreo rimane un ebreo!", scriveva Marga il 21 maggio 1928, ottenendo come risposta un invito a non prendersela troppo. "Non ti arrabbiare con gli ebrei", le rispondeva un mese dopo Himmler, aggiungendo che sull'argomento "potrei solo sostenerti, brava donna". Quando il marito il 9 novembre 1938 aveva già dato l'ordine di esecuzione dei pogrom contro gli ebrei e i loro negozi e sinagoghe in moltissime città tedesche, passato alla storia come la 'notte dei cristalli', Marga annotava nel suo diario il 14 novembre: "Questa storia degli ebrei... Quando ci lasceranno queste canaglie, in modo da poter condurre una vita felice?".

Tags Argomenti:shoahauschwitzebreiantisemitismoProtagonisti:Heinrich von PiererMargarete Siegroth

http://www.repubblica.it/esteri/2014/01/26..._baci-76953941/
 
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