Favole per Bambini

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marisa56
view post Posted on 29/4/2013, 12:39 by: marisa56
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La Regina delle Nevi

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C'era una volta uno stregone maligno, che aveva inventato uno specchio dai poteri diabolici: i paesaggi più belli diventano luoghi spaventosi, le persone più belle diventavano brutte.
Non solo: chi si specchiava diventava cattivo e perfido.
Gerda e Hans, due allegri scolari, erano vicini di casa e grandi amici. I loro terrazzini confinavano e così i due ragazzi si vedevano ad ogni ora del giorno.
Una domenica, Hans, mentre stava parlando con la piccola amica, sentì un bruscolo entrargli in un occhio.
Cercò di liberarsene, ma non vi riuscì e rimase di pessimo umore.
- Che hai Hans? - gli chiese Gerda. - Che ti succede?
- Proprio nulla che ti interessi - rispose sgarbatamente il ragazzo e Gerda si meravigliò esi addolorò nel sentirlo parlare così duramente.
Era successa una cosa orribile: Lo specchio diabolico era andato in mille frantumi che il vento aveva portato con sé.
Proprio uno di quei frantumi era entrato nell'occhio di Hans e da qui era sceso nel suo cuore che era diventato duro e freddo come la pietra.
Da allora il ragazzo non fu più lo stesso né a casa né a scuola: diventò cattivo, scontroso, maleducato e volgare.
L'inverno giunse presto quell'anno e tutto il paese era ricoperto di neve.
Un mattino, mentre si recava a scuola con la sua slitta, Hans vide affiancarsi alla sua, una slitta grande ed elegante tirata da due candidi cavalli.
- Come mi piacerebbe farmi trascinare a scuola! - pensò.
Come per incanto la grande slitta diminuì l'andatura e Hans riuscì ad attaccarvi la sua.
I cavalli ripresero allora a trottare a gran velocità: era divertente correre così di carriera. Ma ad una tratto la slitta lasciò la città e corse velocissima per le vie della campagna.
- Lasciatemi, lasciatemi! - gridò allora piangendo Hans ma non fu ascoltato.
A sera la slitta si arrestò, ne scese una bellissima signora, tutta bianca. Egli la riconobbe: era la Regina delle Nevi.
La signora lo baciò sulla fronte ed egli cadde addormentato con un gran gelo in cuore.
La dama bianca lo trasportò sulla sua carrozza e partì per il suo regno.
Quando Gerda, dopo molti giorni, si rese conto che Hans non sarebbe ritornato, decise di andare alla sua ricerca.
Se ne partì di nascosto da casa e camminò a lungo finché giunse ad un fiume.
Qui vide una barchetta: vi balzò sopra.
Si lasciò trascinare dalla corrente per chilometri e chilometri, quando fu stremata dalla fame e dalla stanchezza Gerda vide sulla riva del fiume una casetta, vi si fermò chiedendo ospitalità per una notte.
Fu accolta dalla gentile vecchietta che vi abitava.
L'anziana signora era una maga che da anni viveva sola, la compagnia di Gerda le piaceva e per impedirle di andarsene usò su di lei un pettine fatato che faceva perdere la memoria.
Ogni mattina appena alzata la pettinava e Gerda perdeva il ricordo del suo viaggio e del perché si trovasse lì. Passarono gli anni.
Un giorno la vecchietta si dimenticò di ripetere il suo rito e la bambina riprendendo coscienza di sè, fuggì di nascosto.
Dopo aver corso e camminato tanto, stanca si fermò a riposare ai piedi di un albero.
Era disperata e mentre rifletteva su cosa avrebbe potuto fare per trovare il suo amico, sentì sopra la sua testa due corvi parlare tra loro di un certo Hans, venuto da lontano e di umili origini che stava per sposare la principessa del luogo.
Gerda corse a palazzo, vi si intrufolò di nascosto, ma arrivata nella stanza reale conobbe i futuri sposi e si rese conto che il ragazzo di cui aveva sentito parlare dai corvi non era il suo Hans.
I due ragazzi impietositi dalla storia della bambina, decisero di aiutarla e le regalarono una carrozza e dei cavalli.
Gerda riprese il suo viaggio, purtroppo le brutte sorprese non erano finite: passando di notte in un bosco, fu aggredita da un gruppo di zingari, non aveva soldi con sé e il capo di questi disse di ucciderla.
Sua figlia, però, non volle :
- Tu non la ucciderai, la voglio per me!. -
Così la povera Gerda divenne la schiava della piccola zingarella.
La piccola zingara a poco a poco cominciò a volerle bene e volle sapere la sua storia.
- Tu vuoi ritrovare Hans? Ti aiuterò! Piccioni, piccioni miei, venite! - gridò.
Ed ecco uno stormo di piccioni giungere accanto a lei.
- Avete visto un bimbo con paltoncino azzurro che si chiama Hans?
- L'ha rapito la Regina delle Nevi.
- E come potrò giungere fino a lui? - Pianse Gerda disperata.
La sua piccola amica la prese per mano, l'accompagnò vicino ad una grossa renna e disse alla bestia:
- Accompagna Gerda dalla Regina delle Nevi e poi sarai libera!
Gerda abbracciò l'amica salì sulla groppa della renna che partì velocemente verso il paese dei ghiacci.
Dopo aver galoppato a lungo attraverso una terra desolata e gelida, la renna si fermò:
- Guarda, là c'è il palazzo della Regina delle Nevi. Va' ora, ti aspetterò per riportarti indietro. -
Non appena Gerda fu scesa dalla groppa della renna fu assalita da una miriade di fiocchi di neve che volevano impedirle di avanzare.
A stento riuscì a giungere al castello.
Nel palazzo il freddo era tale che la bimba non poteva quasi muoversi.
Vide ad un tratto, in una delle immense sale, Hans seduto sopra un piccolo trono.
- Hans! - gridò - Sono io Gerda!
Hans si svegliò, riconobbe Gerda e la abbracciò. Ma in quel mentre arrivò la regina delle nevi, che voleva rimpossessarsi di Hans. Ma Gerda le disse:
- Tu sei una creatura del ghiaccio, Hans non ti appartiene, lui è una creatura dei fiori, degli animali, della vita! -
La regina delle nevi vide il suo potere svanire...
Le sue lacrime scesero nel cuore di pietra dell'amico e sciolsero il frammento dello specchio diabolico.
Hans la prese per mano:
- Fuggiamo! - disse.
Giunsero trafelati accanto alla renna, le salirono in groppa e, con le mani unite, felici, ripresero la via del ritorno.
- Oh, cara Gerda, se non ci fossi stata tu, che ne sarebbe stato di me? Mi hai ridato la vita!
La vecchina fatata donò dei fiori. Infine giunsero nella città, dove ritrovarono le loro famiglie, i loro amici, i loro animali e i loro fiori.
Ma ormai non erano più dei bambini: erano grandi.
Ora non erano più solo amici: si sposarono poco tempo dopo e vissero felici e contenti, ricordando sempre gli amici che li avevano aiutati durante la loro grande avventura.


Hans Christian Andersen


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L'uomo di ferro

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C'era una volta una foresta maledetta nella quale nessuno osava entrare. Un giorno un cacciatore decise di entrare nella foresta con il suo cane che si diede subito da fare per far alzare qualche animale, ma dopo i primi salti si trovò impantanato in un acquitrino che l'arrestò nella sua corsa e un braccio nudo uscì dall'acqua per afferrarlo.
Il cacciatore aveva visto tutto, fece dietro front e ritornò con tre robusti giovanotti armati di secchi e fece svuotare loro l'acqua dello stagno. Sul fondo intravidero, lungo sdraiato, una specie di selvaggio enorme che aveva il corpo color ruggine e con capelli lunghi fino alle ginocchia che gli coprivano completamente il viso. Lo legarono con corde e lo portarono fino al castello, dove tutti lo guardarono con stupore.
Il re lo chiuse in una gabbia di ferro che lasciò in un cortile. Solo il figlio del re, che aveva otto anni, l'aveva in simpatia e gli offriva frutta e dolciumi.
Un giorno il selvaggio gli chiese di liberarlo. Il ragazzo eludendo la vigilanza delle guardie riuscì ad aprire la gabbia, poi, per paura di essere sgridato fuggì con il selvaggio. Quando si trovarono al riparo nel cuore della foresta si fermarono per riposarsi. Il giorno dopo, quando il ragazzo ebbe dormito sul letto di muschio che il selvaggio gli aveva preparato, lo condusse ad una sorgente.
- Vedi - gli disse - l'acqua di questa sorgente d'oro è chiara e trasparente come il cristallo; tu devi restare qui e vegliare sulla sua purezza. Nessuno deve toccarla e non deve caderci dentro niente. Io verrò questa sera a controllare che tu mi abbia obbedito.
Poiché il tempo non passava più, tentò di distrarsi guardando il suo volto nello specchio dell'acqua. Come si spinse più avanti per vedersi meglio, ecco che i suoi lunghi capelli, che gli cadevano fin sulle spalle, scivolarono e toccarono l'acqua. Si ritrasse dietro in fretta, ma ormai la sua capigliatura era già tutta dorata e brillante come il sole. Potete immaginarvi che paura ebbe il ragazzo. Pertanto, per non farsi accorgere dall'uomo, prese il suo fazzoletto e si coprì la testa come se fosse un berretto. Ma a che scopo? L'uomo, arrivando la sera sapeva già tutto e le sue prime parole furono:
- Togli il tuo fazzoletto.
Lo tolse e i suoi capelli caddero sulle spalle in riccioli scintillanti. Ebbe un bel scusarsi e dire che non l'aveva fatto apposta e giurare che non l'avrebbe fatto più. Non servì a nulla e L'uomo di ferro gli disse:
- Non hai superato la prova: è impossibile che mi occupi più a lungo di te. Davanti a te c'è il mondo vasto e tu apprenderai che cosa è la povertà, ma poiché io ti voglio bene e tu, in fondo, non sei un cattivo tipo, ma sei di buon cuore, ti permetterò una cosa: se sei in pericolo, va nella foresta e chiamami: "Giovanni di ferro". Mi vedrai subito e io ti aiuterò. Il mio potere è grande, molto più grande di quello che tu non creda e per quanto riguarda oro e argento, io ne ho a profusione.
Il principino dovette allora andarsene lontano dalla foresta e camminò, camminò per molti giorni, seguendo le strade quando c'erano e andò dritto davanti a se quando non c'erano.
Arrivò finalmente ad una città dove cercò lavoro, ma non ne trovò, perché non sapeva far niente e non aveva imparato nulla che gli potesse servire. Disperato andò alla reggia per chiedere protezione. Non seppero cosa fargli fare, ma piacque a quelli della corte e gli dissero di restare.
Un giorno che era in giardino la principessa gli disse di cogliere i fiori più belli e più rari per lei. Il ragazzo li colse e corse nella camera della principessa.
- Togli il tuo cappello - gli disse la principessa - non devi tenere la testa coperta in mia presenza.
- Non posso - le rispose - ho le croste in testa.
La principessa gli prese il berretto e glielo levò, liberando i suoi capelli d'oro che si sciolsero sulle spalle, meravigliosi da vedere. Tentò di lanciarsi verso la porta per scappare, ma la principessa lo trattenne per un braccio e gli diede una manciata di ducati prima di lasciarlo andare. Se ne andò con questo oro che per lui non aveva nessun valore e lo regalò al giardiniere dicendogli:
- E' per i tuoi ragazzi, si potranno divertire.
Il terzo giorno la principessa lo chiamò di nuovo, chiedendogli un mazzo di fiori di campo e quando entrò nella camera cercò ancora di strappargli il berretto dalla testa, ma questa volta lo trattenne con tutte e due le mani e glielo impedì.
Purtroppo, dopo poco tempo, scoppiò la guerra in tutto il regno. Il re mobilitò tutto il suo popolo, chiedendosi se avresse potuto resistere al nemico che era numeroso e potente. Si sentì allora il giovane aiuto giardiniere che diceva:
- Ora sono grande e anche io voglio andare a fare la guerra. Chiedo soltanto che mi sia dato un cavallo.
Corse alla scuderia, prese un cavallo, gli salì in groppa e si diresse verso la foresta. Arrivato ai margini si mise a chiamare:
- Giovanni di ferro! Giovanni di ferro!
Che cosa vuoi da me? - gli chiese l'Uomo di ferro, apparendogli subito davanti.
- Vorrei un forte cavallo da battaglia - gli disse il giovane principe - perché voglio fare la guerra.
- L'avrai e ancora migliore di quello che ti aspetti. - disse l'Uomo di ferro.
Ritornò nella foresta, da dove poco dopo uscì seguito da un palafreniere che conduceva un cavallo focoso che nitriva e che faceva fatica a trattenere. Dietro veniva anche uno squadrone di guerrieri on corazze di ferro e le cui sciabole fiammeggiavano al sole. Il giovane principe si precipitò sul nemico e lo mise in fuga.
Al ritorno del re sua figlia gli corse incontro per congratularsi della sua vittoria.
- Non sono per niente vittorioso - disse al re - perché chi ha vinto la battaglia è un cavaliere misterioso che è venuto in mio soccorso con le sue truppe.
Ma il re disse a sua figlia che avrebbe dato una festa di tre giorni.
- Faremo annunciare che tu lancerai una mela d'oro ed è facile che venga anche lo sconosciuto.
Quando furono proclamati i giorni di festa, il giovane principe andò nella foresta e chiamò Giovanni di ferro e gli chiese aiuto. Il primo giorno arrivò al gran galoppo vestito di bianco, prese la mela d'oro e scomparve a tutta velocità. Il secondo giorno, con una armatura nera, prese la mela che la principessa gli aveva lanciato e di nuovo scomparve. Il terzo giorno, vestito di un'armatura d'oro prese ancora la mela d'oro, ma mentre se la portava via al gran galoppo perse il suo elmo e si videro brillare i suoi capelli biondi.
- Chi ha compiuto simili imprese non può che essere un principe - disse il re - dimmi il nome di tuo padre.
- Mio padre è un monarca molto potente ed io posseggo oro in abbondanza.
- Riconosco che ho un debito di riconoscenza verso di te. Sposerai mia figlia.
Mentre erano tutti a tavola, le porte si spalancarono ed entrò un maestoso monarca con il suo numeroso seguito. Questo re s'avvicinò al giovane principe, l'abbraccio e gli disse:
- Io sono l'Uomo di ferro, il re Giovanni, sono stato trasformato in un uomo selvaggio da un incantesimo dal quale tu mi hai liberato. Per dimostrarti la mia riconoscenza, tutti i tesori che possiedo sono ora di tua proprietà, accettali come regalo di nozze ed augurio di felicità.

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di Jakob e Wilhelm Grimm


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Il Gigante egoista

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Tutti, i giorni, finita la scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante.
Era un giardino grande e bello coperto di tenera erbetta verde. Qua e là sulla erbetta, spiccavano fiori simile a stelle; in primavera i dodici peschi si ricoprivano di fiori rosa perlacei e, in autunno, davano i frutti. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini sospendevano i loro giochi per ascoltarli.
-Quanto siamo felici qui!- si dicevano.
Un giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita al suo amico, il mago di Cornovaglia, e la sua visita era durata sette anni.
Alla fine del settimo anno, aveva esaurito quanto doveva dire perché la sua conversazione era assai limitata, e decise di far ritorno al castello. Al suo arrivo vide i bambini che giocavano nel giardino. -Che fate voi qui?- esclamò con voce burbera, e i bambini scapparono.
-Il mio giardino è solo mio! -disse il gigante- lo sappiano tutti: nessuno, all'infuori di me, può giocare qui dentro. Costruì un alto muro tutto intorno e vi affisse un avviso:
GLI INTRUSI SARANNO PUNITI
Era una gigante molto egoista.
I poveri bambini non sapevano più dove giocare. Cercarono di giocare sulla strada, ma la strada era polverosa e piena di sassi, e non piaceva a nessuno. Finita la scuola giravano attorno all'alto muro e parlavano del bel giardino.
-Com'eravamo felici!- dicevano tra di loro.
Poi venne la primavera, e dovunque, nella campagna, v'erano fiori e uccellini.


Soltanto nel giardino del gigante regnava ancora l'inverno.
Gli uccellini non si curavano di cantare perché non c'erano bambini e gli alberi dimenticarono di fiorire.
Una volta un fiore mise la testina fuori dall'erba, ma alla vista dell'avviso provò tanta pietà per i bambini che si ritrasse e si riaddormentò. Solo la neve e il ghiaccio erano soddisfatti.
-La primavera ha dimenticato questo giardino -esclamarono- perciò noi abiteremo qui tutto l'anno.
La neve copriva l'erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d'argento tutti gli alberi.
Poi invitarono il vento del nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
-E' un posto delizioso -disse- dobbiamo invitare anche la grandine.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino.
Era vestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
-Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire -disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco:
-Mi auguro che il tempo cambi.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l'estate. L'autunno diede frutti d'oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante.
Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la Grandine, il gelo e la Neve danzavano tra gli alberi.
Una mattina il gigante udì dal suo letto: una dolce musica, risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero di musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino, che gli parve la musica più bella del mondo.
La Grandine cessò di danzare sulla sua testa, il Vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
-Credo che finalmente la primavera sia venuta- disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra.
Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli entrati attraverso un'apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi.
Su ogni albero che il gigante poteva vedere c'era un bambino. Gli alberi,felici di riavere i fanciulli, s'erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline.
Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l'erba verde e ridevano. Era una bella scena. Solo in un angolo regnava ancora l'inverno.
Era l'angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riuscire a raggiungere il ramo dell'albero e vi girava intorno piangendo disperato.
Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del nord fischiava.
-Arrampicati piccolo- disse l'albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino.
A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
-Come sono stato egoista!- disse.-Ora so perché la primavera non voleva venire.
Metterò quel bambino in cima all'albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini. -
Era veramente addolorato per quanto aveva fatto.
Scese adagio le scale e aprì la porta d'ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l'inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante. E il Gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull'albero. E l'albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò.
Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera.
-Ora questo è il vostro giardino, bambini - disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro.
A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
-Dov'è il vostro piccolo amico? - disse: -Il bambino che io ho messo sull'albero?-
Il gigante l'amava più di tutti perché l'aveva baciato.
-Non lo sappiamo -risposero i bambini- se n'è andato.
-Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire- disse il gigante.
Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l'avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste.
Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più.
Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
-Quanto mi piacerebbe vederlo-diceva sovente.


Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare;
sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
-Ho molti bei fiori- diceva- ma i bambini sono i fiori più belli.
Una mattina d'inverno, mentre si vestiva,guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l'inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano.
Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente.
Era una cosa veramente meravigliosa. Nell'angolo più remoto del giardino v'era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d'oro pendevano frutti d'argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch'egli aveva amato. Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull'erba e s'avvicinò al bambino.
Quando gli fu vicino si fece rosso di collera e disse:
-Chi ha osato ferirti?- perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi.
-Chi ha osato ferirti?- esclamò il gigante- dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l'ammazzerò.
-No- rispose il bambino- queste sono soltanto le ferite dell'amore.
-Chi sei?- chiese il gigante, e uno strano stupore s'impadronì di lui e s'inginocchiò dinanzi al bambino.
Il bambino gli sorrise e disse:
-Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell'albero tutto coperto di fiori candidi.

Oscar Wilde




illustrazione di Mariarita Brunazzi degli amici del forum di pinu


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