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Il pastrano
Un certo pastrano abitò lungo tempo in casa era un pastrano di lana buona un pettinato leggero un pastrano di molte fatture vissuto e rivoltato mille volte era il disegno del nostro babbo la sua sagoma ora assorta ed ora felice. Appeso a un cappio o al portabiti assumeva un’aria sconfitta: traverso quell’antico pastrano ho conosciuto i segreti di mio padre vivendoli così, nell’ombra.
Alda Merini
Al padre
Dove sull’acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d’uragani e mare avvelenato. Le nostre notti cadono nei carri merci e noi bestiame infantile contiamo sogni polverosi con i morti sfondati dai ferri, mordendo mandorle e mele dissecate a ghirlanda. La scienza del dolore mise verità e lame nei giochi dei bassopiani di malaria gialla e terzana gonfia di fango. La tua pazienza triste, delicata, ci rubò la paura, fu lezione di giorni uniti alla morte tradita, al vilipendio dei ladroni presi fra i rottami e giustiziati al buio dalla fucileria degli sbarchi, un conto di numeri bassi che tornava esatto concentrico, un bilancio di vita futura. Il tuo berretto di sole andava su e giù nel poco spazio che sempre ti hanno dato. Anche a me misurarono ogni cosa, e ho portato il tuo nome un po’ più in là dell’odio e dell’invidia. Quel rosso del tuo capo era una mitria, una corona con le ali d’aquila. E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali di partenza colorati dalla lanterna notturna, e qui da una ruota imperfetta del mondo, su una piena di muri serrati, lontano dai gelsomini d’Arabia dove ancora tu sei, per dirti ciò che non potevo un tempo – difficile affinità di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo cicale del biviere, agavi lentischi, come il campiere dice al suo padrone: ‘Baciamu li mani’. Questo, non altro. Oscuramente forte è la vita.
Salvatore Quasimodo
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