Enrico Berlinguer

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view post Posted on 11/6/2012, 16:04
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Enrico Berlinguer
Segretario generale del
Partito Comunista Italiano
Durata mandato 17 marzo 1972 –
11 giugno 1984
Predecessore Luigi Longo
Successore Alessandro Natta
Segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana
Durata mandato 1949 –
1956
Predecessore Agostino Novella
Successore Renzo Trivelli
Dati generali
Partito politico Partito Comunista Italiano
on. Enrico Berlinguer
Parlamento italiano
Camera dei deputati
Luogo nascita Sassari
Data nascita 25 maggio 1922
Luogo morte Padova
Data morte 11 giugno 1984
Professione Politico
Partito PCI
Legislatura V, VI, VII, VIII, IX.
Gruppo PCI
Circoscrizione Roma



« La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico. »
(Enrico Berlinguer, da un'intervista a la Repubblica del 28 luglio 1981)


Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984) è stato un politico italiano, segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte.


Biografia

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I genitori di Enrico Berlinguer nel 1930.

Enrico Berlinguer nacque a Sassari il 25 maggio 1922 figlio di Mario Berlinguer, un avvocato repubblicano, antifascista e massone , discendente d'una nobile famiglia catalana stabilitasi in Sardegna all'epoca della dominazione aragonese, e di Maria Loriga. La famiglia porta i titoli nobiliari di Cavaliere, m., Nobile mf., con trattamento di Don e di Donna per concessione il 29 marzo 1777 a Giovanni e Angelo Ignazio da Vittorio Amedeo III Re di Sardegna. Nel dopoguerra, Mario Berlinguer fu parlamentare socialista. Enrico crebbe quindi in un ambiente culturalmente assai evoluto (il nonno, suo omonimo, era stato il fondatore del giornale "La Nuova Sardegna", e aveva avuto contatti con Garibaldi e Mazzini) e di profittare di relazioni familiari e politiche che influenzarono notevolmente la sua ideologia e la carriera politica successiva. Era parente di Francesco Cossiga (le rispettive madri erano cugine tra loro) - che fu presidente della Repubblica - ed entrambi erano parenti di Antonio Segni, anch'egli capo di stato.

Condotti gli studi liceali classici presso il locale Liceo Azuni, nel 1943 Berlinguer si iscrisse al Partito Comunista Italiano (PCI) e ne organizzò la sezione sassarese, svolgendo un'intensa attività di propaganda, che lo rese un osservato speciale della questura. Nel gennaio del 1944 la fame spinse la popolazione a saccheggiare i forni della città e Berlinguer fu accusato di esserne stato uno degli istigatori. Fu quindi arrestato e trattenuto in carcere per tre mesi, dopo i quali fu prosciolto dalle accuse e liberato.

Dopo la sua scarcerazione, il padre lo portò a Salerno, luogo in cui la famiglia reale e il governo di Badoglio avevano trovato rifugio dopo l'armistizio di Cassibile fra l'Italia e gli alleati. Nella città campana il padre lo presentò a Palmiro Togliatti, che era stato suo compagno di scuola. Berlinguer fece una buona impressione e perciò nel maggio del 1945 fu inviato a Milano, dove collaborò con Luigi Longo e Giancarlo Pajetta. Dopo un breve periodo come vicesegretario del PCI in Sardegna, Togliatti lo richiamò a Roma. Nel 1949 fu nominato segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana, carica che avrebbe mantenuto sino al 1956 e l'anno seguente divenne segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, un'associazione internazionale di giovani marxisti. Durante l'esperienza come segretario della FGCI non si allontanò mai dall'impostazione filosovietica e stalinista che era prevalente nel PCI e che costituiva il fondamento della politica di Togliatti. In occasione della morte di Stalin, per esempio, pronunciò un discorso pieno di elogi nei confronti del dittatore. In questa veste Berlinguer visitò, insieme a Nerio Nesi, l'Unione Sovietica, ma nel 1957 abolì l'obbligatorietà di tale visita (comprendente anche corsi di formazione politica), sin allora (anche solo ufficiosamente) passaggio necessario di tutti i dirigenti che intendessero far carriera nel partito. Nel 1956 fu favorevole all'invasione sovietica dell'Ungheria, coerentemente alla politica di tutto il Partito Comunista. Il 29 settembre 1957 sposò a Roma Letizia Laurenti, da cui ebbe quattro figli: Bianca Maria (Roma, 9 dicembre 1959), Maria Stella (Roma, 16 novembre 1961), Marco (Roma, 7 gennaio 1963) e Laura (Roma, 6 maggio 1970).

I familiari

Il fratello Giovanni è uno dei leader del movimento politico Sinistra democratica, ora esponente di Sinistra Ecologia Libertà.
Il figlio Marco ha fatto parte del Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista.
Il cugino Luigi è stato ministro della Pubblica Istruzione e senatore tra le file dei Democratici di Sinistra ed è attualmente eurodeputato del Partito Democratico.
La figlia Bianca è giornalista, direttrice del TG3.
La figlia Laura lavora a Studio Aperto.
Leader di partito

« Si iscrisse giovanissimo alla direzione del PCI. »
(Giancarlo Pajetta)
Eletto per la prima volta deputato nel 1968, per il collegio elettorale di Roma, si fece portavoce della corrente progressista e popolare del partito. Nominato, nel corso del XII congresso, vice-segretario nazionale (durante la segreteria di Luigi Longo), guidò nel 1969 una delegazione del partito ai lavori della conferenza internazionale dei partiti comunisti che si tenne a Mosca; in tale occasione, trovandosi in disaccordo con la "linea" sovietica (fonte massima degli indirizzi dell'Internazionale comunista), a sorpresa rifiutò di sottoscrivere la relazione finale. La presa di posizione, inattesa quanto "scandalosa", fu memorabile: tenne il discorso decisamente più critico in assoluto fra quelli che mai leader comunisti abbiano tenuto a Mosca, rifiutando tassativamente la "scomunica" dei comunisti cinesi e rinfacciando a Leonid Brežnev che l'invasione sovietica della Cecoslovacchia (che definì espressivamente la "tragedia di Praga") aveva solo evidenziato le radicali divergenze affioranti nel movimento comunista su temi fondamentali come la sovranità nazionale, la democrazia socialista e la libertà di cultura.

Nel 1970 Berlinguer proclamò un'altrettanto inattesa apertura verso il mondo dell'industria: dichiarando che il PCI guardava con favore a un nuovo modello di sviluppo, inseriva il partito in un dibattito politico-economico fin allora considerato tabù per i comunisti.



La segreteria

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Enrico Berlinguer ad un comizio a Borgo San Lorenzo

Raggiunta prima del previsto a causa dei disagi medici patiti da Longo, che dovette prima delegare e poi definitivamente "abdicare" (nel 1972), la sua segreteria fu caratterizzata da un lato dal tentativo di collaborare con la DC nella prospettiva di realizzare riforme sociali ed economiche che considerava indispensabili, dall'altro dalla convinzione della necessità di rappresentare un nuovo comunismo indipendente dall'URSS (chiamato "eurocomunismo").

Negli anni in cui Berlinguer fu segretario il PCI raggiunse il suo massimo storico, il 34,4% del 1976, e alcuni affermano che questo risultato sia stato ottenuto principalmente per merito di Berlinguer. Va d'altro canto ricordato che dopo avere toccato il proprio massimo storico negli anni settanta, il Partito Comunista iniziò una fase di lento ma progressivo e inarrestabile declino, di cui si notarono chiaramente gli effetti già nei primi anni ottanta sotto la segreteria di Berlinguer. Non si può escludere ed anzi è probabile che sia i migliori risultati elettorali del Partito Comunista, sia i suoi insuccessi elettorali - che a partire dagli anni ottanta si sarebbero sistematicamente ripetuti e via via aggravati - rispondessero in realtà a fenomeni di ampio respiro e a condizioni profonde della società italiana su cui, solo in parte, l'azione politica di Berlinguer poteva avere un impatto.

Il partito in movimento


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Enrico Berlinguer al XIII Congresso del PCI nel 1972

Nel 1973 si verificano alcuni avvenimenti che segneranno profondamente le scelte del PCI nel successivo decennio. L'11 settembre, in Cile, un colpo di Stato spazza via il Governo di sinistra guidato da Salvador Allende, sostituendolo con una giunta militare capeggiata dal generale Augusto Pinochet.

Il 3 ottobre 1973, al termine di una visita ufficiale a Sofia, la limousine su cui viaggia Berlinguer, una GAZ-13 Čaika, è investita da un camion militare. Berlinguer si salva miracolosamente, l'interprete ufficiale muore e gli altri due passeggeri (esponenti della dissidenza nel Partito Comunista Bulgaro) rimangono gravemente feriti. All'epoca dei fatti né Berlinguer né alcun altro dirigente comunista disse pubblicamente di sospettare che l'incidente fosse in realtà un attentato. Nel 1991 Emanuele Macaluso, senatore del Partito Democratico della Sinistra ed ex dirigente comunista, rilascia un'intervista al settimanale Panorama dichiarando che il segretario del PCI, appena rientrato a Botteghe Oscure, gli avrebbe rivelato il sospetto che si fosse trattato in realtà di un "falso incidente", orchestrato ad arte dal KGB e dai servizi segreti bulgari per porre fine allo scomodo alleato italiano. Dopo la convalescenza seguita alle ferite riportate, Berlinguer scrisse per Rinascita tre famosi articoli intitolati "Riflessioni sull'Italia", "Dopo i fatti del Cile" e "Dopo il golpe del Cile", in cui sviluppava alcuni temi che abbozzavano la proposta del "compromesso storico" come possibile soluzione preventiva dinanzi alla deriva istituzionale che lasciava paventare possibili soluzioni di stile sud-americano.

L'anno successivo Berlinguer principiò a Belgrado una sorta di campagna di sensibilizzazione internazionale degli altri movimenti e partiti comunisti, incontrando per primo il maresciallo Tito; molti incontri di funzionari minori del partito con omologhi dei partiti comunisti di altri stati, preparavano frattanto la strada diplomatica per relazioni privilegiate con alcuni di essi.

Nel marzo 1975 durante il 14º congresso del Partito Comunista Berlinguer espresse il pieno sostegno dei comunisti italiani "agli eroici combattenti del Vietnam e della Cambogia". Apparentemente non sembra che fosse informato dei crimini di guerra compiuti dalle truppe comuniste, in particolare della ferocia dimostrata dagli khmer rossi cambogiani sia durante il conflitto sia nella fase successiva di normalizzazione del paese. Non risulta che Berlinguer abbia mai espresso alcuna condanna nei confronti di questi crimini, né che li abbia ritenuti degni di un commento, pur essendogli certamente noti dalle corrispondenze dei giornalisti italiani (celebri ad esempio quelle di Tiziano Terzani dalla Cambogia).

Nel 1976 in occasione di un congresso a Mosca dinanzi a 5.000 delegati provenienti da tutto il mondo Berlinguer parlò in aperto contrasto con le posizioni "ufficiali" di "sistema pluralistico" (che l'interprete simultaneo coscienziosamente rese come "sistema multiforme") e descrisse l'intenzione del PCI di costruire un socialismo "che riteniamo necessario e possibile solo in Italia". Da parte del Cremlino si replicò che essendo l'Italia sotto un marcato controllo della NATO, si era costretti a concludere che l'unica interferenza davvero sgradita ai comunisti italiani fosse quella sovietica. Berlinguer, del resto, avrebbe loro risposto, attraverso un'intervista rilasciata a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, definendo il Patto Atlantico «uno scudo utile per la costruzione del socialismo nella libertà, un motivo di stabilità sul piano geopolitico ed un fattore di sicurezza per l'Italia». Peraltro all'apertura di Berlinguer nei confronti della NATO non corrispose un'analoga apertura della NATO nei confronti del Partito Comunista Italiano, che i leader politici dei paesi membri della NATO non consideravano un partito democratico e non giudicavano adatto a governare l'Italia o a fornire ministri ad un governo democristiano. È nota ad esempio la posizione di netta condanna nei confronti del Partito Comunista Italiano emersa nel vertice G8 tenutosi a Portorico nel 1976.

La ricerca del consenso

Il programma seguito dal sempre più dinamico segretario intendeva aprire al partito strade nuove per allargare il consenso. L'ampio seguito elettorale non era infatti, da sé, sufficiente a consentire che il PCI potesse contribuire alla vita democratica del Paese attraverso la partecipazione diretta al governo; vi erano diversi motivi di esclusione, che il segretario si propose di abbattere.

I comunisti, scomunicati da Papa Pacelli dopo le elezioni politiche del 1948, cercavano intanto di uscire da un isolamento ideologico che nel propugnare idee di tutela del ceto proletario, e nel volerne rappresentare gli interessi, li aveva in pratica relegati a questa sola funzione politica. Sostenitori inoltre della dottrina marxista (come, peraltro, sempre meno visibilmente erano gli altri movimenti della sinistra, da tempo in verità assai occupati a diluirne le asperità), erano fisiologicamente invisi all'elettorato cattolico come a quello dei ceti più elevati e le vicinanze "pre-strappo" con la Russia, avversaria del Patto Atlantico nella guerra fredda, destavano più di un'inquietudine fra coloro che ne sostenevano la fazione occidentale.

Con sagace scelta di tempi, Berlinguer rese di pubblica notorietà una sua privata corrispondenza con il vescovo di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi, che avrebbe dovuto testimoniare della "possibilità" di un dialogo intellettuale e sociale (e poi, certo, anche politico) fra cattolici e comunisti.

Al contempo, però, montavano le tragiche proporzioni del terrorismo, che cresceva di "qualità" e di quantità di vittime, all'inizio di un periodo che sarebbe poi stato definito degli "anni di piombo". In una prima fase il Partito Comunista non si accorse della drammatica importanza del fenomeno e assunse un atteggiamento non univoco nei confronti dei terroristi, di cui addirittura veniva negata l'esistenza. Il quotidiano l'Unità ad esempio, che era l'organo di stampa ufficiale del Partito Comunista, fece proprie le tesi della propaganda vicina ai gruppi terroristici in varie occasioni: la morte di Giangiacomo Feltrinelli, che fu attribuita ad un presunto complotto; l'assassinio dei militanti dell'MSI Mazzola e Giralucci a Padova, che fu attribuito a presunte faide interne tra gruppi neofascisti invece che alle Brigate Rosse, e così via. In seguito il Partito Comunista assunse una posizione sempre più netta di distanza dalle Brigate Rosse e di adesione alla "linea della fermezza", specie a partire dal momento in cui alcuni militanti comunisti o di simpatie comuniste divennero bersagli delle formazioni terroristiche di estrema sinistra. Anzi si può dire che la "linea della fermezza" divenne la linea propria del PCI, e che la lotta al terrorismo, soprattutto dopo la metà degli anni settanta, fu una delle emergenze democratiche individuate dal partito, che rischierò militanti e strutture a tale scopo. Questo anche provocando rotture e strappi con tutti i movimenti che stavano alla sinistra del PCI, culminati con la cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza occupata e dagli incidenti di Bologna (1977) e da una concomitante campagna delle BR contro PCI e CGIL, indicati come "traditori del proletariato". Il PCI fu, inoltre, uno dei protagonisti, durante il sequestro Moro, della "linea delle fermezza", ormai abbandonata da ampi settori della DC e da quasi tutto il PSI.

La presentabilità e la presentazione

Il contatto col mondo cattolico si rese allora più intensamente ricercato da parte del partito e fu creata la formula del "catto-comunismo", con la quale si pubblicizzavano ed esaltavano i punti di contatto con le componenti dei partiti cattolici (ma essenzialmente della DC) più attente alle tematiche sociali, con i cosiddetti "basisti" (cioè rappresentanti della "base", l'elettorato di basso ceto) degli altri schieramenti.

In realtà, fin dai tempi del voto a favore dell'art.7 della Costituzione il PCI aveva cercato di evitare che questioni di carattere religioso diventassero motivo di scontro sociale, e a tal fine cercò fino all'ultimo di trovare una soluzione parlamentare per evitare il referendum popolare per l'abolizione del divorzio introdotto in Italia dalla legge Fortuna-Baslini. È molto probabile che lo scarso impegno divorzista del PCI derivasse anche da una valutazione gravemente errata dei rapporti forza politici sul tema (comune del resto a vari altri partiti, divorzisti e antidivorzisti). Sembra che Berlinguer abbia più volte espresso ai suoi collaboratori profondo scetticismo sulle possibilità dei divorzisti di vincere una consultazione referandaria sul divorzio. Tuttavia quando il ricorso alle urne fu inevitabile si schierò a favore del NO all'abrogazione della legge e il contributo del PCI alla campagna referendaria fu decisivo per la sconfitta degli abrogazionisti impersonati dall'allora segretario della DC Amintore Fanfani.

Nelle elezioni politiche del 20 giugno 1976 il PCI (che aveva ormai abbandonato le cordate elettorali allestite insieme ad altre forze - ad esempio il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) ottenne da solo il 34,4% dei voti e 227 seggi alla Camera dei deputati e il 33,8% dei suffragi con 116 seggi al Senato della Repubblica: la differenza rispetto ai voti ottenuti dalla DC era di pochi punti percentuali, molti di meno rispetto alle precedenti votazioni, avvicinando il PCI ad una quota di elettorato che poteva eventualmente ambire anche alla maggioranza relativa. Molti incominciarono perciò a rispettivamente sperare e temere un possibile "sorpasso". Va comunque ricordato che la maggioranza assoluta era molto lontana dalle possibilità del PCI, mentre nei principali partiti necessari al PCI per la formazione di un eventuale governo (DC e Partito Socialista) rimanevano forti resistenze alla partecipazione dei comunisti all'esecutivo per le caratteristiche da molti giudicate antidemocratiche del partito comunista. Inoltre, nello stesso partito comunista esistevano resistenze ideologiche dell'elettorato verso vari aspetti delle tradizionali politiche di governo, destinate ad emergere durante l'esperienza del "compromesso storico" e a sfociare in varie forme di voto di protesta, in particolare a favore del Partito Radicale di Pannella che si opponeva alla linea della fermezza in materia di terrorismo e che lo rese un osservato speciale della questura. Alcuni a questo riguardo affermano che la politica del compromesso storico delineata da Moro prima della sua morte e attuata da Andreotti durante il governo cosiddetto della "non sfiducia" per i democristiani non fosse un'autentica strategia di governo comune con il PCI ma una sorta di espediente tattico di breve termine. Una volta che il PCI fosse entrato nell'area di governo, senza parteciparvi direttamente, sarebbe stato costretto ad assumersi responsabilità che gli avrebbero alienato il consenso di significative componenti del suo elettorato nel momento del suo massimo storico, in attesa che i mutamenti sociali ne determinassero il declino elettorale e l'inutilità come alleato per la formazione di altri governi, come in effetti sarebbe accaduto a partire dalla fine degli anni settanta.



PCI: Partito Comunista Italiano

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Giorgio Napolitano con Berlinguer

Forte delle posizioni acquisite in patria, il PCI intensificò le sue attività internazionali. L'invocato progetto per un eurocomunismo prese corpo a Madrid l'anno successivo, durante un incontro con Santiago Carrillo, leader dei comunisti di Spagna, e Georges Marchais, condottiero di quelli di Francia. I tre esponenti, parzialmente seguiti anche, sebbene in forme meno espansive, da omologhi leader di altri paesi, sostennero la necessità di affrancamento dal costante controllo sovietico, in favore della libera ricerca delle vie più opportune, paese per paese, per costruire il socialismo; corollario di questa istanza grosso modo autonomista, era il valore positivo attribuito al rispetto per le libertà religiose e di cultura, dogmaticamente bollate come eretiche dalla dottrina e dalla prassi moscovita.

Proprio a Mosca Berlinguer sarebbe andato ancora una volta pochi mesi dopo, nuovamente per tenervi un discorso profondamente sgradito, al punto che stavolta il testo fu addirittura censurato dalla Pravda, organo ufficiale del PCUS. Vi espose le nuove teorie eurocomuniste, sottolineò l'opportunità di concorrere per l'accesso al governo dei rispettivi paesi usando tutte le regole del metodo democratico (ed implicitamente esprimendo la necessità di rinunciare a pratiche più spicce, come suggerito e talvolta applicato dalla dirigenza centrale). Ed enunciò una serie di principi in netto contrasto con valori dati per assodati ed immutabili dalla storia e dalla tradizione dell'Internazionale, come la rinuncia alla pretesa del partito unico.

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Durante l'incontro con Fidel Castro

Si è variamente interpretato questo viaggio di Berlinguer, ed oltre al prevedibile, ma labile, sospetto che potesse trattarsi di manovrina a fini elettorali nazionali, si avanzò l'insinuazione che il partito italiano ambisse ad una posizione più centrale nell'internazionale comunista. Si sostenne in pratica che Berlinguer considerasse plausibile (ed alla sua portata) proporsi come principale esponente dei partiti "non allineati", formazioni in genere provenienti da regimi comunisti per qualche ragione in dissidio con l'URSS; secondo i malevoli Berlinguer avrebbe inteso strappare l'egemonia dell'Internazionale al PCUS (quantunque la posizione di supremazia sovietica non fosse solo basata sul prestigio della primogenitura, ma anche, più concretamente, sul supporto economico e militare, che per alcuni dei paesi satelliti era più che vitale - e malgrado talune posizioni degli eurocomunisti andassero nel senso di deprivare di significato l'Internazionale).

La frattura (o meglio il suo aggravio) sarebbe servita, secondo questa visione, a provare la possibilità concreta di rompere il vincolo di dipendenza con il PCUS; il progetto di alleanza con le forze marxiste asiatiche (cinesi in testa) avrebbe potuto, in questo senso, spostare l'asse intorno al quale si aggregavano i comunisti di tutti i paesi, alternativamente verso l'eclettico e raffinato PCI, ovvero verso il radicale e concreto PCC (Partito Comunista Cinese).

Secondo invece altri osservatori, Berlinguer con l'indubbia capacità politica che lo contraddistinse, aveva colto in pieno la contraddizione del comunismo sovietico, e l'assoluta necessità di smarcarsi dal modello sovietico, addivenendo ad un modello di società più giusta che contemperasse il valore della libertà individuale e di impresa.


La questione morale

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Enrico Berlinguer in primo piano; alle sue spalle Pietro Ingrao e Giancarlo Pajetta

Se l'Italia repubblicana era stata ornata di un ingente quantitativo di scandali di corruttela e malversazione, molti dei quali degni di attenzione giudiziaria, il PCI restava relativamente nitido quanto a correttezza di gestione politica (perché - obiettavano dalla maggioranza - non aveva mai messo le mani sul governo). Questa sorta di fedina penale pulita consentì a Berlinguer di lanciare, dal gennaio del 1977, una campagna moralizzatrice (del resto non nuova, essendosi già prodotti gli esperimenti del Partito Radicale) che, con una certa strumentalità, puntava il dito contro il cattivo uso (e spesso l'abuso) della cosa pubblica.

La questione morale divenne centrale nella propaganda del PCI e trovò una singolare sintonia di fatto con analoghe posizioni puriste del Movimento Sociale Italiano, per una volta coincidente nell'indirizzo critico verso la DC, che deteneva il potere stabilmente dai tempi dell'attentato a Togliatti. Da entrambi i partiti stabilmente d'opposizione si parlava intuibilmente di "regime", intendendo che la DC avesse blindato i meccanismi di perpetuazione del suo potere in spregio della correttezza (e talvolta della legalità).

L'accostamento coi missini, però, quantunque non ricercato, consentì agli avversari di marcare la campagna come becero strumento propagandistico da parte di soggetti per volontà dell'elettorato non ammessi a gestire la cosa pubblica; l'obiezione (in fondo l'unica opposta di una qualche serietà) riuscì a rinfrancare l'elettorato di maggioranza, non provocando grossi scossoni, sebbene il tarlo della diffidenza avesse cominciato a logorarne alcune certezze.

La spinta etica berlingueriana gli sarebbe sopravvissuta, conducendo tempo dopo al vibrato coinvolgimento delle sinistre nel dibattito politico susseguente allo scandalo di Tangentopoli.

Le rivolte

La seconda metà degli anni settanta si spendeva con un certo affanno fra problemi di capitale importanza: la crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo. Si suole indicare nel 1977 l'annus horribilis (secondo alcuni punti di vista) delle rivolte: echi sessantottini vibravano di nuovo con forza fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, molti estremisti provenienti da classi sociali diverse si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni e la sinistra stessa era soggetta a dispute interne.

Berlinguer si rivoltò contro la pregiudiziale anticomunista che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. Mandò avanti Giorgio Amendola, rappresentante (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo ritenuto capace di dialogare coi non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Esattamente il giorno successivo alla sortita, ma la si è sempre considerata una coincidenza, gli Stati Uniti sostituirono il loro ambasciatore a Roma John Volpe, con Richard Newton Gardner e, sempre lo stesso giorno, oltreoceano iniziò una campagna di stampa con cui si sosteneva che impedire l'accesso ai governi europei dei partiti comunisti fosse un dovere costituzionale americano. A pochissime ore di distanza, Berlinguer volava in Romania per incontrare il presidente-dittatore Nicolae Ceauşescu che cercava di mantenere una posizione relativamente autonoma da Mosca.

Pochi giorni ancora e l'Unità avrebbe iniziato a parlare dell'ancora segreta loggia P2. Ancora un brevissimo intervallo e si ebbe la visita in Italia del vicepresidente americano Walter Mondale.

Non restava immobile l'Unione Sovietica, che attraverso la Pravda si scagliò contro il movimento dissidente cecoslovacco "Charta 77", provocando un'immediata reazione di protesta da parte dei partiti comunisti avvicinatisi alle posizioni berlingueriane, ed ovviamente dello stesso leader. Il crescere della distanza PCI - PCUS, però non impedì che proprio in questa fase dalla Unione Sovietica giungessero al PCI finanziamenti di importo rilevante: 4 milioni di dollari a titolo di "fondo di assistenza" stanziati dal Politburo da essere versati in 4 rate trimestrali ciascuna di 1 milione di dollari tramite il KGB (e altri 30.000 dollari per il Partito Comunista Sammarinese)".

Nel febbraio 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.

Sempre in febbraio, Berlinguer, durante un dibattito televisivo, discutendo sull'autonomia del Pci ed i legami con gli altri partiti comunisti dichiarava: "Non vedo perché dovremmo troncare questi rapporti né perché questa rottura dovrebbe essere considerata, da chi non saprei, prova del carattere democratico del nostro partito"

Nell'aprile successivo, l'ambasciatore statunitense Gardner incontrò Eugenio Scalfari, il quale gli avrebbe confidato la sua impressione che "soltanto quando Berlinguer assumerà il controllo della polizia ci sarà pace civile in Italia"; Gardner raccontò poi di analoghe indicazioni ricevute da Leopoldo Pirelli ed altri esponenti del mondo economico, mentre Giulio Andreotti gli avrebbe dichiarato che credeva nella sincerità della svolta occidentalista della dirigenza comunista, ma nutriva dubbi sul sostegno a questa svolta da parte della base del partito.

Nonostante la grande avanzata del P.C.I. nelle elezioni del 1976, non erano seguite riforme o almeno segnali di cambio di rotta da parte della classe politica e soprattutto del governo. La stessa sinistra extraparlamentare era interessata da grandissime crisi al suo interno, come risultato alcune formazioni politiche, come Lotta Continua si sciolsero. Nel 1977 scoppiò la rivolta chiamata del Movimento del '77 che nacque all'interno delle università, ma che ben presto si allargò alla società civile, in conflitto con il vecchio modo di fare politica, portando nuove istanze di riscatto sociale e di liberazione. Alla nuda e cruda lotta di classe, che ormai non era più esauriente si proponevano le lotte per i diritti civili, diritti umani, dalla lotta contro l'autoritarismo, a quelle del movimento di liberazione omosessuale e l'antiproibizionismo, ecc. Questo movimento fu avversato apertamente dal P.C.I. e da una parte dei sindacati, non si cercò un dialogo con il movimento; si privilegiò lo scontro con l'ala violenta, che tuttavia rappresentava una minoranza all'interno del movimento, e non si diede ascolto alle numerose e innovative istanze che questo propugnava.

Nel settembre 1977, nel pieno degli scontri di Bologna che avvennero in quel mese, Berlinguer accusò gli autonomi e parte dei movimenti giovanili di "essere fascisti". A quest'affermazione rispose Norberto Bobbio sulle pagine de La Stampa, affermando che: "l'accusa generalizzata di fascismo a tutti i movimenti alla sinistra del partito comunista è storicamente scorretta". Berlinguer, con una lettera inviata allo stesso giornale e pubblicata il giorno seguente, ribatté che le persone aventi "come bersaglio principale il movimento operaio e il Pci" erano per lui "lucidi organizzatori di un nuovo squadrismo" e "non sono definibili con altro termine se non quello di nuovi fascisti".

Nell'ottobre 1977, Berlinguer, proseguendo le manovre per raggiungere il compromesso storico, cercando di dissipare le paure dei cattolici italiani, apre un dialogo con l'allora vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi, tramite la pubblicazione sulla rivista Rinascita, di lettere scambiatisi in cui afferma di volere "realizzare una società che, senza essere cristiana, cioè legata integralisticamente a un dato ideologico, si organizzi in maniera tale da essere sempre più aperta e accogliente verso i valori cristiani"; le lettere sono pubblicate sotto il titolo comune significativo di "Comunisti e cattolici: chiarezza di principi e base di un'intesa".

"Berlinguer non è la Madonna"

L'inconsueta rivelazione campeggiò a firma di Eugenio Scalfari sulla prima pagina de la Repubblica, al culmine di una serie di processi dialettici rotanti intorno a un nascente "culto" del leader sardo, culto che si impennò dopo lo "strappo" e del quale Montanelli commentò che andava "assumendo connotati quasi sacrali, e a volte grotteschi".

Il tutto, facendo un passo indietro, era nato il 2 dicembre 1977 a Roma, dove Pierre Carniti aveva condotto un'affollatissima manifestazione di operai metalmeccanici durante la quale aveva messo in mora governo e "padroni", agitando lo spettro di uno sciopero generale e di una lotta sindacale durissima nel caso le sue richieste non fossero state esaudite. Dal momento che il PCI seguiva i delicati negoziati per l'avvicinamento al compromesso storico, e che la dirigenza comunista - forse anche per questo - era rimasta silente riguardo alla questione (per la delusione dei metalmeccanici), su la Repubblica apparve una delle più note vignette satiriche di Giorgio Forattini, che disegnava un borghesissimo Berlinguer in vestaglia intento a sorseggiare un tè sotto un ritratto di Marx, mentre dalla finestra aperta di questo suo salotto penetravano gli echi fastidiosi della manifestazione.

La vignetta suscitò animate reazioni e dal PCI si tuonò contro Forattini e contro la testata. Paolo Spriano scrisse una nota fiammeggiante in cui esaltò la "vita di sacrificio, di passione rivoluzionaria, di tensione politica e morale di un dirigente comunista come Berlinguer". In questo clima di ormai scoperte celebrazioni, Vittorio Gorresio solo l'anno prima aveva pubblicato una biografia del segretario in cui gli aveva attribuito la partecipazione ad una protesta su questioni di servizi locali nella località di Stintino alla strabiliante età di 8 anni. Lasciando a Montanelli agio di definire sarcasticamente Berlinguer "Un Mozart della rivolta sociale".

Spriano, la cui reazione alla vignetta era diventato un caso politico, aveva rivolto il suo attacco anche contro la testata, Scalfari pubblicò perciò un articolo nel quale il leader sardo veniva reinquadrato in una visione più realistica ed al quale diede il suggestivo titolo prima detto.

Il 1978

Il 1978 fu l'anno del destino, per il PCI.

S'iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente.

Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Moro era il presidente della DC, e condivideva con il leader comunista alcune caratteristiche personali che avrebbero potuto essere utili per poter intraprendere un dialogo potenzialmente proficuo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici e abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire a utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.

Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito a una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico.

Moro individuava nel fino ad allora demonizzato avversario un possibile alleato che gli avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalla corruzione dilagante evidenziata anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a se stesso in simili ambasce. Nella DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer, sebbene ora un'eventuale presa forzosa del potere potesse essere tentata da organizzazioni tanto filo-americane quanto filo-sovietiche. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.

Delle tante motivazioni addotte per spiegare le ragioni di un simile passo, la più elegante vuole che due grandi politici (il termine statisti non è per cause di fatto applicabile anche a Berlinguer) abbiano rispettivamente cercato interlocutori di pari calibro, forse stanchi di almanaccare possibili machiavelliche composizioni di coalizione con soggetti non casualmente di minor peso specifico.

A ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.

Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare a una possibile intesa coi comunisti, si preparava nel marzo del 1978 il governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto fornire l'appoggio esterno (avrebbe cioè dovuto garantire astensione o favore, ma non opposizione), in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente e a pieno titolo nelle coalizioni. Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia e Gaetano Stammati, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti giusto la notte precedente la presentazione alle Camere; insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette perciò sveltamente decidere di ritirare l'appoggio al governo, rinunciando alla partecipazione del PCI alla maggioranza.

La stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, e ad accordi appena infranti, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a pallino tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose con grande senso di responsabilità di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana. La fiducia fu dunque data, ma non senza che Berlinguer precisasse per bene che l'espediente di Andreotti, che sonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, era stato soltanto "superato dagli eventi", la questione non era in realtà affatto chiusa, solo rinviata. Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma questo, "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato.

Durante il sequestro Moro, Berlinguer prese posizione insieme al cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista. Dalla detenzione, Moro scrisse una frase che secondo alcuni era forse diretta al segretario comunista e ad Andreotti: "Il governo è in piedi e questa è la riconoscenza che mi viene tributata per questa come per tante altre imprese".

Il ritorno all'opposizione



Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della maggioranza, Berlinguer non partecipava più alle riunioni a 6, insieme ai segretari del "pentapartito", il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.

Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che, grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto certo non ritirò), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter insediare al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.

Quando si cominciò a parlare di Sandro Pertini come di un possibile candidato, si disse che Berlinguer avrebbe regalato uno dei suoi rari (almeno in pubblico) sorrisi: l'anziano esponente partigiano, sanguigno quanto radicale nei suoi modi, e non meno deciso nei suoi indirizzi, poteva sembrare davvero immune dalla voga anticomunista e lo si sospettava, lui, assai distante da certe cerchie di intricati interessi di potere. Poteva essere, stimarono i comunisti, il momento di contare i voti delle sinistre, per verificare la possibilità di un "governo delle sinistre".

L'elezione di Pertini, in realtà, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.

L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura successe a sé stesso, con l'Andreotti quinquies, sul principio dell'anno successivo.

Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.



La morte a Padova

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Sandro Pertini ai funerali di Berlinguer

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L'Unità riporta la notizia della morte del leader comunista

Dopo una legislatura da parlamentare europeo (eletto nel 1979 per le liste del PCI), in vista delle successive elezioni del 1984 Berlinguer si recò a Padova il 7 giugno, sul palco di Piazza della Frutta, dove svolse un comizio. Mentre si apprestava a pronunciare la frase "Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda" venne colpito da un ictus. Evidentemente provato dal malore, continuò il discorso fino alla fine, nonostante anche la folla, dopo i cori di sostegno, urlasse: "Basta, Enrico!". Alla fine del comizio rientrò in albergo dove si addormentò sul letto della sua stanza, entrando subito in coma. Dopo il consulto con un medico, venne trasportato all'ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni drammatiche. Morì l'11 giugno, a causa di un'emorragia cerebrale. Il comunicato del sovrintendente sanitario affermò che il politico sardo era venuto a mancare alle 12:45.

Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si trovava già a Padova per ragioni di Stato, si recò in ospedale per constatare le condizioni di Berlinguer. Fece in tempo a entrare in stanza per vederlo e baciarlo sulla fronte. Poche ore dopo il decesso, si impose per trasportare la salma sull'aereo presidenziale, citando la frase: "Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta". Commovente fu il suo saluto al funerale (13 giugno), al quale partecipò circa un milione di persone, dove si chinò con la testa sopra la bara, baciandola.

Il corteo con la bara, accompagnato dalla musica dell'Adagio di Albinoni sfilò dalla sede del PCI, in via delle Botteghe Oscure, a piazza S. Giovanni, rendendo così palese l'ammirazione che una larga parte dell'opinione pubblica italiana aveva nei suoi confronti. Persino il segretario del MSI Giorgio Almirante si recò a rendere omaggio al feretro dell'avversario, suscitando lo stupore della folla in coda per entrare nella camera ardente. A ricevere Almirante fu Giancarlo Pajetta, al quale venne dato l'incarico di pronunciare l'orazione funebre di Berlinguer.

Il giorno delle elezioni europee, il 17 giugno 1984 il PCI, nonostante la scomparsa di Berlinguer, decise di lasciare il suo segretario capolista e chiese di votarlo in modo plebiscitario. Le elezioni, forse anche per gli eventi precedenti, decretarono la vittoria del PCI che, per la prima e unica volta nella storia, sorpassò seppur di poco la DC, affermandosi come primo partito italiano (33,3% contro il 33,0%): questo "sorpasso" è ricordato come dovuto all'"effetto Berlinguer". Precedentemente, con Berlinguer, il PCI nel 1976 aveva toccato il massimo storico dei suoi voti, col 34,4%.

Per decisione della famiglia, Berlinguer è stato sepolto a Roma nel Cimitero di Prima Porta, nonostante il Partito avrebbe voluto che fosse tumulato al Cimitero del Verano, nel Mausoleo dove riposano i grandi dirigenti comunisti Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo, e dove nel 1999 fu sepolta anche Nilde Iotti.

Soprannominato subito "il più amato" (a differenza di Palmiro Togliatti che era "il migliore"), Berlinguer fu seguito alla guida del PCI da Alessandro Natta. Il suo posto alla Camera dei Deputati fu preso dal sindaco di Marino Lorenzo Ciocci.


Scritti di Enrico Berlinguer

Marisa Musu, Enrico Berlinguer, La lotta della gioventù per la democrazia, Roma, Centro Diffusione Stampa del Pci, 1947.
Enrico Berlinguer, All'avanguardia della gioventù italiana. Discorso pronunciato il 6 luglio 1948 ai giovani operai di Torino, Roma, 1948.
Enrico Berlinguer, Tutta la gioventù in lotta per la Pace. Discorso pronunciato il 17 ottobre 1948 al Congresso dell'alleanza giovanile di Modena, Modena, Arti Grafiche Modenesi, 1948.
Alessandro Curzi, L'avvenire non viene da solo, Roma, Edizioni Gioventù nuova, 1949, presentazione di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Una forte FGCI per la pace, l'avvenire, l'unita della gioventù. Rapporto presentato da E. Berlinguer al comitato costitutivo nazionale della FGCI (Roma, 8-9 novembre 1949), Roma, Edizioni Gioventù nuova, 1949.
Enrico Berlinguer, I compiti della gioventù comunista. Rapporto presentato al 12º Congresso Nazionale della Fgci (Livorno 29 marzo-2 aprile 1950), Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1950.
Enrico Berlinguer, Impediamo al fascismo di tradire la gioventù, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1950.
Enrico Berlinguer, Ruggero Grieco, Gesta ed eroi della gioventù d'Italia. 30 anni di vita della Fgci, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1951.
Enrico Berlinguer, L'unita della gioventù nel fronte del lavoro e della pace. Rapporto tenuto alla riunione del comitato centrale della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Roma, 3-5 maggio 1951, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1951.
Enrico Berlinguer, Un fronte patriottico della gioventù per l'indipendenza e la rinascita dell'Italia, Roma, 1952.
Enrico Berlinguer, Per la gioventù, per l'Italia, per il socialismo. Rapporto di Enrico Berlinguer e discorso di Pietro Secchia al Comitato centrale della Fgci per la preparazione del 13º congresso nazionale, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1953.
Enrico Berlinguer, L'avvenire della gioventù italiana. 13º congresso nazionale della Fgci. Rapporto presentato al 13º Congresso nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, Ferrara 4-8 marzo 1953, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1953.
Enrico Berlinguer, La collaborazione tra la gioventù comunista e la gioventù cattolica, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1954.
Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer, Le giovani comuniste per l'emancipazione della donna. Discorsi pronunciati alla Conferenza Nazionale delle ragazze comuniste. Roma, 26-28 febbraio 1954, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1954.
Enrico Berlinguer, Per la pace per il rinnovamento d'Italia per l'avvenire della gioventù. Relazione presentata dal compagno Enrico Berlinguer al Comitato Centrale della Fgci. Roma, 22-23 febbraio 1953, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1955.
Enrico Berlinguer, L'apertura a sinistra e la lotta dei giovani per il loro avvenire. 14º Congresso nazionale della Fgci, Milano 23-26 giugno 1955, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1955.
Enrico Berlinguer, La figura morale della giovane comunista. Conversazione tenuta alle ragazze comuniste di Napoli il 23 dicembre 1955, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1956.
Enrico Berlinguer, Proselitismo e problemi attuali del rafforzamento e del rinnovamento del Partito. Rapporto alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci 19-22 gennaio 1961, Roma, 1961.
Enrico Berlinguer, La forza, lo sviluppo e i compiti del Pci nel momento presente. Rapporto e intervento alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci del 20-23 dicembre 1961 - Risoluzione, Roma, 1961.
Enrico Berlinguer, Il contributo autonomo del Pci all'unità del movimento operaio internazionale. Rapporto alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, tenuta il 14 ottobre 1964, Roma, 1964.
Enrico Berlinguer, Riprendere in Italia e nel mondo l'iniziativa unitaria per la pace e la distensione. Rapporto alla sessione del Comitato centrale del Pci, tenuta il 18-19 febbraio 1965. Risoluzione, Roma, 1965.
Mario Alicata, Alessandro Natta, Enrico Berlinguer, Una nuova unità, un forte movimento di massa per battere il governo Moro, per una nuova offensiva di pace. Rapporti e informazioni alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, tenuta il 6-7-8 luglio 1965, Roma, 1965.
Alessandro Natta, Enrico Berlinguer, Per una nuova politica interna, per la libertà e la pace nel Vietnam, per l'unità del Movimento comunista internazionale. Rapporti e conclusioni alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del PCI tenuti il 21-22-23-24 febbraio 1967. Risoluzione, Roma, Visigalli-Pasetti, 1967.
Front national de liberation Sud Vietnam, Vietnam: il programma del FNL. Testo adottato dal FNL del Vietnam del Sud in un congresso straordinario tenutosi a meta agosto 1967, Roma, 1967, introduzione a cura di Enrico Berlinguer.
Le Duan, Il Vietnam e l'ottobre. Pace, rivoluzione e i più importanti problemi della strategia e della tattica del movimento internazionale di oggi in un saggio del segretario generale del Partito dei lavoratori del Vietnam, Roma, 1967, introduzione di Enrico Berlinguer.
Antonio Gramsci, Scritti politici, Roma, l'Unità-Editori Riuniti, 1967, prefazione di Enrico Berlinguer.
Luigi Longo, Enrico Berlinguer, L'unità del movimento operaio, Roma, editori riuniti, 1968.
Luigi Longo, Enrico Berlinguer, La politica comunista, Roma, Editori riuniti, 1969.
Enrico Berlinguer, Una nuova guida politica e la svolta che esige il paese. Discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 9 agosto 1969, Roma, 1969.
Luigi Longo, Enrico Berlinguer, La Conferenza di Mosca. I problemi dell'internazionalismo oggi nel rapporto di Luigi Longo al Comitato centrale del Pci e nell'intervento di Enrico Berlinguer alla riunione di Mosca dei partiti comunisti; in appendice i documenti conclusivi della conferenza, Roma, Editori riuniti, 1969.
Attraverso un'ampia e forte discussione politica difendere e sviluppare la realtà unitaria e democratica del nostro grande partito. Relazione di Alessandro Natta e intervento conclusivo di Enrico Berlinguer. Riunione del C.C. e della C.C.C. del 13-17 ottobre 1969, Roma, Pci, 1969.
Renzo Laconi, Parlamento e Costituzione, Roma, Editori riuniti, 1969, a cura di Enrico Berlinguer e Gerardo Chiaromonte.
Un Partito comunista rinnovato e rafforzato per le esigenze nuove della societa italiana. Noi, i giovani e il socialismo. Relazione e conclusioni alla sessione del Cc e della Ccc del Pci svoltasi dal 14 al 16 gennaio 1970; Interventi di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer,
Enrico Berlinguer, L'Emilia: la regione più avanzata d'Italia perché la più "rossa", la più comunista. Discorso pronunciato a Ferrara e Reggio Emilia il 5 e 6 aprile 1970, 1970.
Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano, Per una nuova avanzata dei comunisti nei comuni, nelle provincie e nelle regioni. Rapporto alla sessione del C.C. e della C.C.C. del Partito Comunista Italiano tenuta dal 20 al 22 aprile 1970, Roma, 1970.
Enrico Berlinguer, Sovranità nazionale nuovo sviluppo economico piena applicazione della democrazia. Discorso di Berlinguer e dichiarazione di voto di Napolitano pronunciati alla Camera nei giorni 11 e 12 agosto 1970, Roma, 1970.
Renato Sitti (a cura di), Processo all'Eridania, Roma, Editori Riuniti, 1970, presentazione di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Per trasformare la società italiana per una nuova direzione del paese. Relazione e conclusioni del compagno Berlinguer alla riunione del CC del PCI dei gg. 13-15 novembre 1970; intervento del compagno Longo, Roma, 1970.
Enrico Berlinguer, La strategia di lotta del PCI per avanzare sulla via del socialismo, Roma, 1971.
Enrico Berlinguer, Una nuova politica per lo sviluppo e l'unità della Sicilia. Discorso pronunciato al Teatro Politeama di Palermo il 21 febbraio 1971, Roma, 1971.
Palmiro Togliatti, Discorsi ai giovani, Roma, Editori riuniti, 1971, prefazione di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Per rinnovare l'Italia, per la pace, per la liberazione di tutti i popoli oppressi dall'imperialismo. Relazione e conclusione alla riunione del comitato centrale e della commissione centrale di controllo per la preparazione del 13º congresso nazionale 11-13 novembre 1971, 1971.
Enrico Berlinguer, Relazione al convegno di Firenze 1971 sull'università, Cronache umbre, nov.-dic. 1971.
Palmiro Togliatti, Discorsi ai giovani, Roma, Editori riuniti, 1971, prefazione di Enrico Berlinguer.
Ho-Chi-Minh, La grande lotta, Roma, Editori riuniti, 1972, prefazione di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, La politica internazionale dei comunisti italiani, Roma, Editori Riuniti, 1972.
Enrico Berlinguer, Per un governo di svolta democratica. Rapporto tenuto al 13º Congresso nazionale del Pci, Roma, Editori Riuniti, 1972.
Enrico Berlinguer, Unità operaia e popolare per un governo di svolta democratica per rinnovare l'Italia sulla via del socialismo. Relazione e conclusioni al 13º Congresso del PCI con il testo dello Statuto del Partito Comunista Italiano, Roma, Editori Riuniti, 1972.
Enrico Berlinguer, Sconfiggere il governo di centro-destra aprendo la via a un'alternativa democratica. Il discorso del compagno Berlinguer alla Camera nel dibattito sul ministero Andreotti - Malagodi, Roma, 1972.
Enrico Berlinguer, Per uscire dalla crisi un generale rinnovamento nei rapporti internazionali nello sviluppo economico nella difesa della legalità democratica. Rapporto e conclusioni alla sessione del c.c. e della c.c.c. del Pci del 7-9 febbraio 1973, 1973.
Enrico Berlinguer et alii, Democrazia e sicurezza in Europa. La politica del PCF e del PCI verso la Comunità europea e l'unita delle masse lavoratrici, Roma, Editori riuniti, 1973.
Enrico Berlinguer et alii, I comunisti italiani e il Cile, Roma, Editori riuniti, 1973.
Enrico Berlinguer, Democrazia e sicurezza in Europa, Roma, Editori riuniti, 1973.
Enrico Berlinguer, I discorsi di Enrico Berlinguer e di Renzo Imbeni alla manifestazione nazionale degli studenti comunisti. (Bologna, 28 ottobre 1973), 1973.
Enrico Berlinguer, Discorso pronunciato a Bologna l'11 maggio 1973 al comizio col segretario del Pcf, Georges Marchais, 1973.
Enrico Berlinguer, L'impronta di Togliatti nella vita del PCI, Roma, sezione centrale scuole di partito del PCI, 1973.
Enrico Berlinguer, Lottare per risolvere la grave crisi economica stroncare il neofascismo democratizzare lo stato. Il rapporto di Enrico Berlinguer al Comitato centrale del 26 e 27 luglio 1973 sull'impegno dei comunisti per rendere effettiva l'inversione di tendenza e per avanzare verso una svolta democratica, Roma, 1973.
Enrico Berlinguer, Per uscire dalla crisi. L'intervento di Enrico Berlinguer al Comitato centrale del 17-18 dicembre 1973, 1973.
Enrico Berlinguer, Riflessioni dopo i fatti del Cile. Tre articoli di Enrico Berlinguer, Roma, 1973. [contiene Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni, Via democratica e violenza reazionaria, Alleanze sociali e schieramenti politici, da Rinascita n. 38, 39, 43 (1973)]
Enrico Berlinguer, Il nodo della crisi sta nella Dc. Relazioni e conclusioni al CC e alla CCC del PCI del 3 giugno 1974, Roma, 1974.
Enrico Berlinguer, La linea e le proposte dei comunisti per uscire dalla crisi e costruire un'Italia nuova. La relazione di Berlinguer in preparazione del 14º congresso, Roma, 1974.
Enrico Berlinguer, Per uscire dalla crisi, per costruire un'Italia nuova. Dal rapporto di Enrico Berlinguer del 10 dicembre 1974, Roma 1974.
Enrico Berlinguer, Il ruolo della masse femminili nella battaglia per la democrazia e il socialismo. Dal discorso di Berlinguer alla conferenza dei partiti comunisti dell'Europa capitalistica sulla condizione femminile, Roma novembre 1974, 1975.
Enrico Berlinguer, La proposta comunista. Relazione al Comitato Centrale e alla Commissione Centrale di Controllo del PCI in preparazione del XIV congresso, Torino, Einaudi, 1975.
Enrico Berlinguer, Unità del popolo per salvare l'Italia. Il testo integrale del rapporto tenuto al 14º Congresso nazionale del Partito comunista italiano, Roma, editori riuniti, 1975.
Enrico Berlinguer, La questione comunista. (1969-1975), Roma, Editori Riuniti, 1975.
Enrico Berlinguer, Una Spagna libera in un'Europa democratica, Roma, Editori riuniti, 1975.
Enrico Berlinguer, Ordine pubblico: l'azione dei comunisti a tutela delle libertà democratiche, 1975.
Guido Fanti, Una campagna elettorale di civile confronto per far avanzare il rinnovamento del Paese e il risanamento dello Stato. Relazione di Guido Fanti al C. C. e alla C. C. C. dell'11 aprile 1975. Il Partito subito al lavoro per il confronto elettorale. Intervento conclusivo di Enrico Berlinguer, 1975.
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Enrico Berlinguer, Governo di unita democratica e compromesso storico. Discorsi 1969-1976, Roma, Sarmi, 1976.
Enrico Berlinguer et alii, Il ruolo dei giovani comunisti. Breve storia della Fgci, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976.
Una nuova fase della lotta per lo sviluppo economico, civile e democratico del Mezzogiorno. Assemblea dei quadri comunisti meridionali di Reggio Calabria del 29-30 ottobre 1976. La relazione di Pio La Torre; le conclusioni di Enrico Berlinguer, Roma, Pci, 1976.
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Enrico Berlinguer, La grande avanzata comunista. Discorsi e interviste della campagna per le elezioni politiche del 20 giugno 1976, Roma, Sarmi, 1977.
Enrico Berlinguer [falsamente attribuito a], Lettere agli eretici. Epistolario con i dirigenti della nuova sinistra italiana, Torino, Einaudi, 1977.
Enrico Berlinguer, Fare emergere tutta la forza innovatrice della nostra politica di unita e di rigore. Relazione di Enrico Berlinguer ai segretari delle federazioni e dei comitati regionali sui risultati del voto amministrativo del 14 maggio 1978, Roma, a cura del PCI, 1978.
Enrico Berlinguer, Per l'emancipazione e la liberazione delle donne. Il discorso di Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI al Festival de l'Unita dedicato alle donne, Arezzo 16 luglio 1978, Roma, 1978.
Armando Cossutta, I comunisti nel governo locale. La relazione e le conclusioni al primo convegno nazionale degli amministratori comunisti, Bologna 27-29 ottobre 1978, Roma, Editori riuniti, 1978, contiene l'intervento conclusivo di Enrico Berlinguer.
L'impegno dei comunisti per la riforma dei patti agrari e la piena attuazione del programma di governo per l'agricoltura, Roma, Sezione agraria del Pci, 1978, conclusioni di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Per il socialismo nella pace e nella democrazia in Italia e in Europa. La linea strategica e programmatica dei comunisti italiani nella relazione e nelle conclusioni al 15º Congresso nazionale del PCI, Roma, Editori riuniti, 1979.
Enrico Berlinguer, La nostra lotta dall'opposizione verso il governo. Una riflessione critica sulle elezioni di giugno nel rapporto e nelle conclusioni del segretario generale del PCI al Comitato centrale del 2 luglio 1979, Roma, Editori riuniti, 1979.
Comitato regionale del Pci siciliano (a cura di), Conferenza regionale dei comunisti siciliani con Enrico Berlinguer. 22-23 dicembre 1979, Palermo, Luxograf, 1980, con un discorso di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Il Pci, la crisi mondiale, l'avvenire del socialismo, la situazione italiana. Un'intervista a Enrico Berlinguer, Roma, 1980.
Luciano Gruppi, La strategia del PCI nella fase attuale. Alla luce dell'articolo di E. Berlinguer su Rinascita del 24 agosto 1979. In appendice articoli e interventi di E. Berlinguer e P. Togliatti, Roma, direzione scuole di partito del PCI, 1980.
Aa. Vv., Luigi Longo: una vita per la libertà, in Il Calendario del Popolo n. 425, Milano, Teti, 1980, con testi di Enrico Berlinguer.
Giorgio Napolitano, Enrico Berlinguer, Partito di massa negli anni Ottanta. I problemi del partito al Comitato centrale del PCI, 7-8 gennaio 1981, Roma, Editori riuniti, 1981.
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Mario Melloni, A chiare note. Corsivi 1981, Roma, Editori riuniti, 1981, prefazione di Enrico Berlinguer.
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Una nuova unità dell'Italia che lavora. 8º Conferenza nazionale degli operai, dei tecnici e degli impiegati comunisti, Torino, 2-3-4 luglio 1982, Roma, a cura del Dipartimento stampa, propaganda e informazione del Pci, 1982, con un intervento di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer et alii, Il PCI e cultura di massa. L'effimero, l'associazionismo e altre cose, Roma, Savelli, 1982.
Mario Mencia, Il prigioniero dell'Isola dei Pini. Fidel Castro nelle carceri di Batista, Roma, Editori riuniti, 1982, prefazione di Enrico Berlinguer.
Pio La Torre, Le ragioni di una vita. Scritti di Pio La Torre, Bari, De Donato; Palermo, Ciclope, 1982, con intervento di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Per la vita, contro la morte. Dal discorso di Enrico Berlinguer alla manifestazione contro la droga organizzata dalla federazione di Ravenna e dal Comitato regionale del PCI dell'Emilia-Romagna l'8 gennaio 1983, dipartimento per la propaganda e l'informazione [del Pci], 1983.
Enrico Berlinguer et alii, Cattolici e comunisti in Italia. Dal dialogo a distanza all'impegno per il cambiamento, Roma, ADISTA, 1983.
Enrico Berlinguer, Economia, Stato, pace: l'iniziativa e le proposte del PCI. Rapporto, conclusioni e documento politico del 16º Congresso, Roma, Editori riuniti, 1983.
Palmiro Togliatti, Discorsi parlamentari, Roma, Camera dei deputati, 1984, prefazione di Enrico Berlinguer.
Enrico Berlinguer, Conversazioni con Berlinguer, Roma, Editori riuniti, 1984.
Enrico Berlinguer, Un compagno che abbiamo sempre avuto vicino. Discorsi di Enrico Berlinguer alle donne, Torino, 1984
Enrico Berlinguer, Berlinguer parlamentare europeo, Gruppo comunista e apparentati del Parlamento europeo, 1984.
Enrico Berlinguer, Enrico Berlinguer. Antologia di scritti e discorsi (1969-1984), Frattocchie, Istituto Studi comunisti P. Togliatti, 1984.
Enrico Berlinguer, La crisi italiana. Scritti su Rinascita, Roma, Rinascita, 1985.
Enrico Berlinguer, Berlinguer a Livorno. Tre discorsi, Livorno, Cooperativa editrice dimensioni, 1985.
Enrico Berlinguer, Conversazioni con Berlinguer, Roma, Editori riuniti, 1985 (2ª edizione).
Enrico Berlinguer, Idee e lotte per la pace. Raccolta d'interventi sulle questioni della pace, del disarmo e di un nuovo internazionalismo, 1979-1984, Napoli, Cuen, 1986.
Enrico Berlinguer, Berlinguer. Attualità e futuro. Una scelta di scritti, discorsi, interviste di Enrico Berlinguer nel 5º anniversario della scomparsa, Roma, l'Unità, 1989.
Enrico Berlinguer, La questione morale. L'Italia d'oggi nelle parole di Enrico Berlinguer, Roma, Libera informazione, 1991.
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Walter Veltroni, La sfida interrotta. Le idee di Enrico Berlinguer, Milano, Baldini & Castoldi, 1994.
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Giuseppe Vacca, Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, 2001.
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Chiara Valentini, Berlinguer il segretario, Mondadori, Milano, 1987.
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Walter Veltroni (a cura di), La sfida interrotta. Le idee di Enrico Berlinguer, Milano, Baldini & Castoldi, 1994.
Walter Veltroni, La sfida interrotta, Milano, Baldini & Castoldi, 2004.

Canzoni

Modena City Ramblers: I Funerali di Berlinguer
Antonello Venditti: Dolce Enrico


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Una persona seria. Un politico vero. Un comunista

"È difficile parlare di Berlinguer, senza nostalgia. Sì, lo so, c’è il pericolo di idealizzare il personaggio, di immaginare l’isola che non c’è, di vedere solo luci senza ombre. Ma è un peccato veniale che ci deve essere concesso". Commettere questo peccato, a trent'anni dalla morte, è l'omaggio migliore che possiamo fare ad Enrico Berlinguer.


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“Berlinguer non ha il vino della sua Sardegna con cui alzare il bicchiere. È un comunista, non ha voglia di divertimenti e di festicciole. Sta con i lavoratori e con le loro donne, incalzati dalla disoccupazione e dalla miseria. L’Italia, del resto, è già divisa così: tra coloro che osano fare ancora brindisi e coloro che non sanno più essere felici finché c’è in giro tanta disperazione”. Non è facile, per chi ha poco più di trent’anni, parlare di Enrico Berlinguer, che ci ha lasciato esattamente trent’anni fa, strappato ai suoi compagni da una emorragia cerebrale, conseguenza dell’ictus che lo aveva colto durante un comizio di Padova. Non è facile perché ogni ritratto di questo tipo rischia di risultare impreciso, insufficiente, vuoto in ultima istanza. Non è facile perché ogni ricostruzione ha sempre il sapore dell’agiografia, dell’omaggio o, all’opposto, quello della blasfemia e dell’oltraggio, operati in nome di una presunta superiorità morale / intellettuale garantita dalla distanza storica e dal “distacco ideologico”. Non è facile raccontare Berlinguer a chi trent’anni non li ha ancora e della politica ha conosciuto solo le miserie, la bassezza, l’inettitudine.

Per questo non puoi che restituire frammenti, istantanee, pensieri sparsi, appoggiandoti alle parole, ai giudizi, ai ricordi di “altri”, di coloro che meglio hanno compreso chi era Berlinguer e cosa ha rappresentato per milioni di italiani. Le parole di Fortebraccio, ad esempio, rendono perfettamente l’idea di cosa si intendesse per “Berlinguer è una persona seria”, frase entrata nell’immaginario collettivo e parte essenziale della mitopoiesi berlingueriana. Una persona seria, un politico nel senso più alto del termine: “Non politicastro; e neppure politicone; tanto meno politicante; ma persona capace di vivere la politica nella sua accezione più alta, nel significato originario, di organizzazione delle energie degli uomini, di scienza dello Stato, di governo della società”.

Una persona seria. E un comunista, “questione” che si tende spesso a dimenticare (al di là delle vere e proprie appropriazioni indebite). Perché dire “Berlinguer è di tutti” è senza dubbio indice di superficialità, di una decontestualizzazione forzata, nell’ottica di un ecumenismo che appartiene solo al nostro mondo e che non rende giustizia al leader del Pci (il quale certamente non merita ipocrite beatificazioni). Berlinguer era comunista e ha vissuto per la trasformazione secondo giustizia della società, nell’orizzonte della solidarietà, dell’uguaglianza, della democrazia, dell’equità. E l’umanità, la sensibilità, l’empatia erano sì il suo modo di intendere la pratica politica ed il rapporto con i cittadini, ma anche la sua declinazione dell’ideologia comunista. Quella che lo portava a “sentire” le angosce, le preoccupazioni, i tormenti dei deboli, degli esclusi, fino a non riuscire ad essere felice, ad “aggirarsi perennemente insoddisfatto” come se mancasse sempre qualcosa. Quella che lo portava a riflettere sul senso e sull’attualità della lotta di classe, non come mero residuato di un passato lontano, ma come strumento essenziale di contrasto alla disuguaglianza e all’iniquità della società. Ed era il suo modo peculiare di essere comunista che lo portava all’apertura ai cambiamenti della società ed al “disperato bisogno” di dare un orizzonte concreto, non solo ideale, al suo partito.

Berlinguer era l’uomo della smisurata ambizione, non quello delle battaglie perse in partenza o del moralismo intransigente e bacchettone. L’ambizione, come scrive Tronti, cioè di “mettere in campo un progetto in grado di parlare a tutti e di convincere la maggioranza del paese; l’ambizione di far coincidere la promozione delle masse popolari con un migliore avvenire per l’insieme della società e per l’Italia”. L’ambizione di poter cambiare le cose, qui ed ora, nella dignità del compromesso certo, ma senza paura del confronto e dello scontro, senza la paura del cambiamento. L’ambizione di poter costruire un’alternativa possibile, malgrado le tentazioni autoritarie, il caos costruito a tavolino, le mille contraddizioni dei suoi interlocutori, la follia della lotta armata, la deriva lenta e costante della dignità della politica italiana (basterebbe leggere le celeberrime parole sullo “stato” dei partiti italiani, senza che sia possibile dimenticare alcuni aspetti della gestione interna dello stesso Pci, ovviamente).

Una determinazione, quella di ampliare il consenso e di convincere ogni italiano della fondatezza dei propri ideali, che avrebbe guidato ogni sua scelta e che non lo avrebbe mai abbandonato. Fino all’ultimo, fino al comizio di Padova e alle parole prima del malore: “Compagni, lavorate tutti, cantiere per cantiere, strada per strada, dialogando”. Il lascito più grande, quello della forza delle proprie idee, della fiducia nella propria comunità e della voglia di costruire un percorso inclusivo, sempre orientato al bene comune, nella consapevolezza che questo, davvero, non è il migliore dei mondi possibile.

Certo, ci sarebbe tanto da dire, da scrivere, da riportare, da precisare, da correggere ed interpretare. E in ogni caso ci sfuggirebbe qualcosa. E così forse la cosa migliore è quella di prendere in prestito le parole sempre di Mario Tronti, nel libro “Il principe disarmato”: “È difficile parlare di Berlinguer, senza nostalgia. Sì, lo so, c’è il pericolo di idealizzare il personaggio, di immaginare l’isola che non c’è, di vedere solo luci senza ombre. Ma è un peccato veniale che ci deve essere concesso”.



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Berlinguer, il mito di un rimpianto politico

Il monumento di immagini e parole eretto dalla memoria collettiva nazionale ha strutturato intorno al segretario del Pci una retorica del mito che trasfigura il politico in un martire della Repubblica, morto nell’adempimento del proprio dovere.


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Non vorrei sembrare irriverente ma quello che si ricorda oggi non è l’anniversario della morte di Berlinguer ma il mito di Berlinguer. Indubbiamente si tratta, insieme ad Aldo Moro, del politico più celebrato dell’Italia repubblicana.

Sarà per quell’aura aristocratica che circondava la sua figura di borghese guida della classe operaia (Forattini nelle sue vignette rendeva plasticamente il senso di questa dicotomia paradossale); sarà perché è stato il simbolo della speranza di una sinistra maggioritaria in grado di mutare il corso della storia italiana; sarà per il coraggio con cui affermò che era terminata “la spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre”; sarà per il castello di retorica innalzato intorno alla questione morale (divenuto luogo comune di politici in cerca di visibilità); forse sarà anche per l’isolamento subito nei primi anni Ottanta a causa della politica del preambolo; fatto sta che Berlinguer da uomo si è trasformato in un totem che contiene tutte le aspirazioni, i desideri, le speranze e le manchevolezze della sinistra italiana.

La morte ha trasportato i valori che incarnava, in quanto segretario del Partito comunista italiano, nell’Olimpo intangibile della mitologia politica. Una rapida ascensione alla santificazione laica agevolata dall’eroismo con cui ha affrontato il Calvario della fine.

Un politico di professione che, mentre sta tenendo un comizio, sente arrivare l’ictus ma non cede al dolore, né allo stato confusionale per terminare il suo discorso di mobilitazione in vista delle elezioni europee nell’Italia cattolica è immediatamente associato alla figura del martire: l’uomo, presentendo la morte, si batte con coraggio fino allo stremo delle forze.

Un gesto che ha il valore della testimonianza esemplare offerta ai contemporanei e ai posteri. Berlinguer muore esemplarmente mentre sta lavorando così come muoiono migliaia di operai nelle fabbriche, nei cantieri e nelle officine. Ma nella società dei mezzi di comunicazione di massa la dipartita in diretta (ripresa dalle telecamere presenti al comizio) diventa spettacolo e propaganda: la lotta di classe è senso del dovere, etica della responsabilità, forza di volontà.

Il martirio di Berlinguer è così ingessato nella meccanica del sacrificio: l’azione è il riconoscimento di un mondo in cui è necessario cedere una parte di sé per poter interagire con gli altri. In quanto segretario del Pci, diventa il simbolo di una sinistra che, tra vittorie, lutti e sconfitte, anela una mitica salvezza collettiva attraverso la dedizione al bene comune e alla difesa dei diritti.

In continuità con il sentire cristiano il Partito comunista, i cui valori sono stati mummificati con il decesso del compianto leader, si scopre essere una comunità di fratelli meritevole di venerazione in quanto soggetto dotato di respiro etico nazionale.

Del resto nella cultura comunista il culto del capo e l’infallibilità del partito sono parte integrante dell’azione politica generale. Forse l’attuale personalismo deriva proprio dalla degenerazione di questa cultura.

Con le ultime sofferte parole, consegnate ai militanti di Padova, Berlinguer lascia il suo testamento: «Impegnarvi tutti… con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti casa per casa, cantiere per cantiere, strada per strada dialogando». Ha il volto pallido, si toglie gli occhiali, il pubblico urla «Enrico, Enrico, Enrico». Il segretario è debole, una maschera funerea, si mantiene al leggio per non cadere. La telecamera allarga lo zoom e immortala, prima della fine, la figura sofferente del capo sotto il simbolo del partito. Funzionari e dirigenti lo applaudono ignari del futuro.

Inizia così il cammino verso la santificazione che troverà la sua massima espressione nel documentario sui funerali di Berlinguer realizzato da Bernardo Bertolucci: il ritorno del feretro, la camera ardente con i pugni levati al celo, i commenti dei compagni, dei dirigenti, degli intellettuali, dell’intero popolo comunista. E c’è anche Gorbaciov che dice: «Noi comprendiamo il profondo dolore che muove adesso tutto il popolo italiano».

Enrico, nella parole del leader sovietico, è elevato al rango di martire del socialismo. Intanto si vede sfilare un fiume umano sotto la coltre delle bandiere rosse.

Berlinguer diventa patrimonio nazionale della politica italiana, anzi la limpidezza del suo mito diventa sempre più evidente in virtù di una partitocrazia avvitata su se sessa e in preda ad una lunga crisi, cominciata con la morte di Aldo Moro, che avrà il suo apogeo nel Novantadue.

Con il passare degli anni e le conseguenti mutazioni del principale partito della sinistra italiana, il mito del segretario trasfigura in una roboante laudatio temporis acti: quando c’era Enrico la sinistra era portatrice di virtù umane e sociali, schierata dalla parte degli ultimi per il miglioramento delle condizioni di vita di disagiati e operai.

Berlinguer, attraverso il continuo richiamo alla questione morale, diventa termine di paragone inarrivabile che stride al confronto con la decadenza dell’Italia contemporanea. Non a caso Antonello Venditti, proprio nell’anno di Tangentopoli, gli dedica la canzone “Dolce Enrico”: «Enrico, se tu ci fossi ancora /ci basterebbe un sorriso /per un abbraccio di un’ora. /Il mondo cambia, ha scelto la bandiera /l’unica cosa che resta è un’ingiustizia più vera. /Qui tutti gridano, qui tutti noi siamo diversi /ma se li senti parlare sono da sempre gli stessi. /E quante bugie, quanti segreti in fondo al mare /pensi davvero che un giorno noi li vedremo affiorare?».

Il comunismo è finito ma Berliguer viene evocato come un santo che potrebbe riportare ordine in un modo corrotto e incomprensibile in cui i valori universali sono stati scambiati con interessi particolari.

Il mito del segretario rimane ancora oggi, nell’epoca dei social network, un faro etico. Decine di militanti digitali postano le sue immagini e ne richiamo le qualità politiche e le doti umane in pagine fan su Facebook, siti internet e video ultra-cliccati su Youtube. È la nostalgia della buona politica.

Eppure prima di concludere non si può non sottolineare che il monumento di immagini e parole sovrastante la figura di Berlinguer ha nascosto le lacune delle sue scelte e in qualche caso il conservatorismo delle sue posizioni.

Ancora nel 1983, in un’intervista su “L’Unità”, si attardava alla ricerca di un nesso che desse senso all’azione del comunismo italiano, cercando di innovare la lotta attraverso nuovi paradigmi, o meglio riadattando la cultura novecentesca del socialismo all’avanzata imperante del neoliberismo thatcheriano. Ma per quanto la sua curiosità intellettuale lo spingesse a confrontarsi con il cambiamento provocato dall’economia finanziaria, che stava fagocitando l’economia industriale, non si avvedeva di un dato: il concetto di classe sociale era scivolato nel baratro dell’oblio sostituito dall’individualismo globale della rivoluzione informatica.

Se oggi Berlinguer è l’icona di un’altra Italia forse lo dobbiamo proprio alla memoria digitale che innesta il mito del segretario nell’immaginario collettivo nazionale.



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11 giugno 1984 - Muore Enrico Berlinguer, segretario del Pci e leader tra i più amati della sinistra italiana #AccaddeOggi

 
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34 anni fa moriva Enrico Berlinguer - 11 Giugno 1984

Storico segretario del PC, era stato eletto nel 1972, conservando tale carica fino alla morte prematura avvenuta dopo un malore avuto durante un comizio. Ad oggi è ancora uno dei personaggi politici più popolari e stimati della storia italiana. Rispettato dagli avversari e amato dai propri militanti, tanto che al suo funerale, a Roma, partecipò più di 1 milione di persone.


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"Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c'è scampo per un vecchio ordine fondato
sul privilegio e sull'ingiustizia".

35 anni fa ci lasciava Enrico Berlinguer.

 
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35 anni senza Enrico Berlinguer: l’11 giugno 1984 morì lo storico leader del Pci

Enrico Berlinguer, lo storico leader del Partito comunista italiano, morì l’11 giugno 1984 a seguito di un ictus che lo colse durante un comizio di piazza. A 35 anni dalla scomparsa ripercorriamo le tappe fondamentali della vita del segretario del Pci, dal rapporto con Togliatti alla guida del Partito comunista. Ancora oggi, resta una delle figure più apprezzate della politica italiana, rispettato dagli avversari e amato dai suoi compagni.

di Titti Pentangelo


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"Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda". Queste le parole che Enrico Berlinguer pronunciò a fatica il 7 giugno 1984 durante il suo ultimo comizio di piazza a Padova, davanti alla folla che lo guardava ammirata. Poi il malore, e la fatidica pausa che fece vacillare il leader del Pci (Partito comunista italiano). La gente lo esortò a fermarsi e a lasciar perdere, ma Berlinguer non era uno che lasciava i discorsi a metà. Così, nonostante l'attacco di ictus, continuò a parlare. Pochi giorni dopo, l'11 giugno 1984, morì a causa di un'emorragia cerebrale. E, ora, a 35 anni dalla scomparsa, quell'immagine è più vivida che mai. Come se continuasse a parlare ancora oggi. Berlinguer non fu soltanto uno dei leader della sinistra italiana più amati di tutti i tempi, ma soprattutto un uomo dai forti principi. Segretario del Partito Comunista italiano dal 1972 fino alla morte, riuscì a portarlo al massimo consenso.

Enrico Berlinguer, il ricordo a 35 anni dalla morte
Nato a Sassari nel 1922, Enrico Berlinguer, appassionato di studi filosofici e giuridici, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza nel 1940. Nel 1934 aderì al Partito Comunista italiano e da lì iniziò la sua carriera politica. Poco dopo la fine della guerra entrò nel Comitato centrale del Pci , poi nella direzione. Dal 1949 al 1956 divenne segretario generale del Fgci, la Federazione giovanile comunista. Nel 1956 lasciò l'organizzazione giovanile e l'anno dopo sposò a Roma Letizia Laurenti. Nel 1958 entrò nella segreteria del partito e strinse uno stretto rapporto con Palmiro Togliatti, la guida storica del Pci che lo prese sotto la sua ala e lo guidò come un figlio. Il Pci Dal 1972 fino alla morte Berlinguer tenne le redini del partito in veste di segretario. La sua idea idea era che il Partito Comunista dovesse porsi a guida dell'intero Paese, riuscendo a rispondere ai bisogni di tutti e non soltanto della classe operaia. Solo in questo modo le cose potevano realmente cambiare.

La sua forza carismatica e i solidi principi che lo guidavano ne fecero un leader molto apprezzato. Ai suoi funerali, il 13 giugno a Roma, parteciperanno due milioni di persone. Non stupisce, quindi, che ancora oggi sia una delle figure più stimate della "Politica" italiana. E c'è anche chi non crede che la sua morte sia dovuta a un malore come il sociologo Rocco Turi che ha espresso le sue ipotesi nel volume "La storia segreta del Pci". Tante le parole di ricordo che in questa giornata arrivano da avversari rispettosi o da militanti. Su Twitter la deputata Laura Boldrini lo ha ricordato con una delle sue frasi storiche:

Io ho fatto una scelta di vita: stare dalla parte dei più deboli, degli sfruttati, dei diseredati, degli emarginati. E lo farò fine alla fine della mia vita.


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La Boldrini
@LaBoldrini
"Io ho fatto una scelta di vita: stare dalla parte dei più deboli, degli sfruttati, dei diseredati, degli emarginati. E lo farò fino alla fine della mia vita".

Enrico, tanto lo sappiamo che da lassù tu ci proteggi e continui a lottare per noi.
Mai nessuno come te!#Berlinguer

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Cento anni fa nasceva Enrico Berlinguer. Laurito: “Preferì i valori alla tattica”

L'autore della 'Velina Rossa' ricorda l'ex segretario del Pci: "È rimasto sempre fedele alle idee dei suoi venti anni, tutti riconoscevano la sua tempra morale"

Alfonso Raimo


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ROMA – “Perché è ancora amato Berlinguer? Per la sua onestà, soprattutto intellettuale e politica. Di lui tutti hanno sempre amato la tempra morale di un uomo che era contemporanemente dolce e rigoroso, leale, sempre fedele alle idee dei suoi venti anni, come spesso ripeteva”. Pasquale Laurito, 95enne decano della stampa parlamentare, autore della ‘Velina Rossa’, ha conosciuto a fondo Enrico Berlinguer, per essere stato il giornalista dell’Ansa, e di altre testate, che seguiva da vicino la vita del Partito comunista italiano. “Il nostro Enrico, anche se oggi avrebbe compiuto cento anni, è morto presto”, ha scritto nel numero della Velina che celebra il centenario dalla nascita.

IL BERLINGUER PRIVATO

Per molti anni a Botteghe Oscure e in Parlamento Laurito ha raccontato il leader comunista nella sua veste pubblica. Ma non dimentica il Berlinguer ‘privato’, che traspariva dalla timidezza dell’uomo e ne faceva il motivo per cui tanti lo amavano e lo amano. “Ricordo una volta a Stettino, quando l’ho incontrato. Io stavo con amici in barca a vela e lui lì al mare, con la sua ‘barchetta’ con cui si dilettava. In quelle occasioni non parlavamo mai di politica. Berlinguer tornava ad essere l’uomo della sua isola, la Sardegna. Ed anche se erano di altri partiti, sia Segni che Cossiga, che pure gli era parente, erano con lui amici e compagni di sardita’”, racconta.

LA FORZA DELLE IDEE

Laurito ricorda gli anni del lavoro come cronista politico: “Lo conoscevo bene perché ero amico intimo del suo capo ufficio stampa, Antonino Tato, che poi mi ispirò la Velina Rossa. Berlinguer era amico di tutti, una persona gentile e buona. Soprattutto coi compagni, li trattava come fratelli. Era il tratto forte del suo carattere, che gli ha consentito di superare i mormorii interni, rispetto ai quali non reagiva mai platealmente. Lui sconfiggeva i nemici con la forza delle sue posizioni. E col calore del popolo comunista che lo amava. È stato l’unico dirigente politico a meritare la stima di Luigi Longo”.

“Enrico, se tu ci fossi ancora…”, canta Venditti. “E io, che ho cinque anni meno di Berlinguer, mi riconosco in queste parole – aggiunge Laurito – I suoi amici resteranno sempre gli operai e i ceti deboli, come si vide in quell’oceano di amore che furono i suoi funerali. Se lui ci fosse ancora, quanto sarebbe ancora più grande la nostra passione per la politica! Perché lui la rendeva la cosa più bella che c’è, col suo carattere leale, trasparente, rigoroso, Berlinguer ispirava fiducia e faceva concreta l’arte del bene comune“.

IL RAPPORTO CON ALMIRANTE E LA DESTRA

Il leader comunista aveva conquistato la stima anche di Giorgio Almirante. “A mio parere c’è troppa enfasi su questo – puntualizza Laurito -. C’era stima ma non confidenza. A parte la differenza d’età tra i due, erano molto, molto diversi nella storia e nelle idee. È vero, Almirante andò ai funerali, per rispetto. E per stima. Lo stesso Berlinguer non riteneva che Almirante fosse uno sciocco, pensava che era un uomo di destra e che nella nuova democrazia italiana dovesse avere un posto. Ma come si erano detti più volte, erano inconciliabili. Uno era l’uomo delle masse che volevano emanciparsi, l’altro veniva dalla Repubblica di Salo'”.

Oggi Pd e Fdi possono dialogare, almeno sulle regole? “Il Pd di oggi non è più l’erede del Partito comunista – sottolinea l’autore della Velina Rossa -, è un partito nuovo che si è costituito dopo il tramonto dei vecchi partiti, quello comunista e quello democristiano. Letta può ben scendere a patti con Meloni, ma mi chiedo: per fare cosa, il presidenzialismo? Assurdo. Al massimo potrebbero essere d’accordo sul proporzionale, che gli risolverebbe molti problemi, nei rispettivi campi”.

IL PSI E CRAXI

Enrico Berlinguer ha sbagliato? Cosa ha sbagliato? “Gli è stato sempre rimproverato di non aver tenuto in grande considerazione il Partito socialista. Non è vero – ricorda Laurito -, era infastidito dalla politica craxiana che in quel momento cercava di isolare il Partito comunista. Quando diciamo che Berlinguer era amato per la sua tempra umana ci riferiamo a un carattere politico. Quando con la morte di Moro le forze retrive e reazionarie sbarrarono la strada all’ipotesi di modernizzazione del Paese, nel compromesso storico tra i due popoli, quello comunista e quello democristiano, Berlinguer dovette scegliere tra la tattica e i valori, ancora una volta perferì quelle idee dei suoi venti anni. Per questo – osserva il giornalista parlamentare – si scavò un solco con i socialisti, perché lui aderì all’idea del governo per il governo. Il progresso sociale deve realizzarsi concretamente nelle riforme a favore dei lavoratori e nella difesa degli ideali democratici. Questo pensava, a questo ha dedicato tutta la sua vita. Per questo, quando ci chiedono se abbia sbagliato qualcosa, noi rispondiamo: ‘Nulla. Gli altri hanno sbagliato'”, conclude Laurito.


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