| Un marker per la malattia di Creutzfeldt-JakobLA metodica è basata sulla misurazione dei livelli di trasferrina nel liquido cerebrospinale. Il primo biomarker specifico per la malattia di Creutzfeldt-Jakob sporadica (sCJD) – la variante umane del morbo della mucca pazza – è stato messo a punto dai ricercatori della Case Western Reserve University.
Il risultato, pubblicato sull’ultimo numero di PLoS ONE, costituisce una base per lo sviluppo di un nuovo test diagnostico per la sCJD, la cui diagnosi è finora stata limitata alla biopsia post mortem. Nel loro studio Neena Singh, professore associato di anatomia-patologica della facoltà di medicina della Case Western Reserve University, e colleghi hanno trovato che la trasferrina (Tf), una proteina deputata al trasporto del ferro, subisce una significativa diminuzione di concentrazione nel liquido cerebrospinale di pazienti con CJD ben prima dell’esordio della patologia, aprendo la strada a una potenziale diagnosi precoce. Nel corso dello studio, sono stati misurati i livelli di Tf nel liquido cerebrospinale raccolto nell’arco di un periodo fino a 24 mesi prima della morte di 99 casi confermati di sCJD e di 74 casi di demenza non collegata alla CJD, rilevando così una diminuzione dei livelli di Tf nei primi rispetto ai secondi. Ulteriori test hanno evidenziato che la misurazione di questo singolo parametro è in grado di identificare la malattia con una sensibilità dell’85 per cento, una specificità de 72 per cento e un’accuratezza dell’80 per cento. “La diminuzione dei livelli di Tf è abbastanza significativa per distinguere la sCJD dalla demenza di origine diversa con un’accuratezza dell’80 per cento”, ha spiegato la Singh. “Se combinato con il biomarker non specifico T-tau, l’accuratezza diagnostica aumenta dell’86 per cento: ciò suggerisce che i due marker siano legati a processi tra loro separati, e per quanto riguarda la diagnosi siano complementari”. La diminuzione della concentrazione di Tf nel liquido cerebrospinale – ha concluso il ricercatore – riflette lo squilibrio nel metabolismo di ferro nel cervello che è associato alla sCJD ed essendo parte del processo patologico ed è quindi probabilmente il più preciso indicatore diagnostico finora disponibile”.Diminuzione CSF transferrina in sCJD: un potenziale di pre-Mortem Diagnostico per le Malattie da prioni
Creutzfeldt-Jakob sporadica della malattia (sCJD) è una condizione neurodegenerativa letale che sfugge rilevazione fino autopsia. Recentemente, il ferro cervello dyshomeostasis accompagnata da un aumento della transferrina (Tf) è stato riportato sCJD casi. La conseguenza di questa anomalia su cerebrospinale-liquido (CSF) livelli di Tf è incerto. Abbiamo valutato l'accuratezza della CSF Tf, un biomarker 'nuovo', come un test pre-mortem di diagnostica sCJD quando usato da solo o in combinazione con la 'corrente' biomarker totale-tau (T-tau). I livelli di totale-Tf (T-Tf), isoforme della Tf (Tf-1 e β2-Tf), e la saturazione del ferro del TF sono stati quantificati nel liquido cerebrospinale raccolti 0,3-36 mesi prima della morte (durata) da 99 autopsia ha confermato sCJD (CJD + ) e 75 casi confermati di demenza di origine non-Jakob (CJD-). accuratezza diagnostica è stata stimata dal test non parametrici, regressione logistica, e le caratteristiche operative del ricevente (ROC) analisi. Area sotto la curva ROC (AUC), sensibilità, specificità, positivi e valori predittivi negativi (PV), e le percentuali di probabilità (LR) di ogni combinazione di biomarcatori e biomarker sono stati calcolati. Si segnala che rispetto al-MCJ, CJD + casi erano mediana inferiore CSF T-Tf (125,7093 vs 217,7893) e superiore di T-tau (11.530 vs 1266) valori. AUC è stato 0,90 (intervallo di confidenza al 95% (CI), 0,85-0,94) per T-Tf, e 0,93 (95% CI, 0,89-0,97) per T-Tf combinato con T-tau. Con il cut-off definito di raggiungere una sensibilità di ~ 85%, T-Tf identificato CJD + casi con una specificità del 71,6% (95% CI, 59,1-81,7), LR positivo di 3,0 (IC 95% 2,1-4,5), LR negativo di 0,2 (IC 95% 0,1-0,3), e la precisione del 80,1%. L'effetto di età del paziente e la durata è stata insignificante. T-Tf combinato con T-tau identificato CJD + con specificità migliorata del 87,5% (95% CI, 76,3-94,1), LR positivo di 6,8 (IC 95% 3,5-13,1), la LR negativo di 0,2 (95% CI, 0,1 -0,3), positivo-PV del 91,0%, negativo-PV del 80,0%, e la precisione del 86,2%. Così, CSF T-Tf, un nuovo biomarcatore, quando combinato con l'attuale biomarker T-tau, è un affidabile test di pre-mortem di diagnostica sCJD.quiI prioni sono trasmissibili per via aerea N MINUTO DI ESPOSIZIONE AD UN AEROSOL CON PRIONI È SUFFICIENTE PER PROVOCARE LA MALATTIA: SEMBRA CHE SI TRASFERISCANO DALLE VIE RESPIRATORIE E COLONIZZINO DIRETTAMENTE IL CERVELLO Alcuni ricercatori tedeschi e svizzeri hanno scoperto che i prioni, gli agenti infettivi che provocano la malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ) e l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE o malattia della "mucca pazza"), sono trasmissibili per via aerea. I risultati, presentati sulla rivista PLoS Pathogens, potrebbero portare allo sviluppo di nuove misure difensive da applicarsi da parte di scienziati ed esperti di animali. Lo studio è stato in parte finanziato dai progetti dell'UE ANTEPRION e PRIORITY.
I ricercatori sanno già da qualche tempo che i prioni sono trasmissibili attraverso strumenti chirurgici contaminati, cibo, latte, saliva, feci, urina e trasfusioni di sangue, anche se queste ultime solo in casi rari. Non si sapeva però se i prioni potessero essere trasmessi attraverso l'aria.
Gli scienziati dell'Università di Zurigo in Svizzera e dell'Istituto di immunologia, Friedrich-Loaffer-Institut, Tübingen in Germania hanno testato topi immunodeficienti e immunocompetenti per determinare se fossero suscettibili a prioni trasportati dall'aria.
Hanno messo i topi in speciali camere di inalazione e li hanno esposti ad aerosol contenenti prioni, il che ha avuto come risultato la malattia. Hanno scoperto che appena 1 minuto di esposizione agli aerosol era sufficiente per provocare la malattia in ciascun soggetto.
Inoltre più a lungo rimanevano esposti agli aerosol più velocemente comparivano i primi sintomi.
La ricerca da loro condotta dimostra che i prioni possono essere trasportati dall'aria. Secondo i ricercatori sembra che i prioni si trasferiscano dalle vie respiratorie e colonizzino direttamente il cervello, aggiungono che una serie di difetti del sistema immunitario ha impedito la prevenzione dell'infezione. "Un sistema immunitario funzionalmente intatto non è strettamente necessario per l'infezione aerogenica da prioni," scrivono gli autori dello studio.
Il team ha sottolineato che i prioni sono responsabili dell'epidemia della malattia della mucca pazza che ha paralizzato l'industria della carne bovina britannica nei primi anni 1990. Oltre 280.000 mucche sono morte di BSE. La trasmissione della BSE agli esseri umani, che può verificarsi quando una persona consuma cibo derivato da mucche infette con BSE, provoca la variante umana, cioè la malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ), caratterizzata da un progressivo e invariabilmente letale cedimento delle cellule del cervello. Quasi 300 persone sono morte dopo aver mangiato cibi prodotti a partire da mucche infettate con BSE.
I ricercatori sostengono che le misure precauzionali contro le infezioni da prioni nei laboratori scientifici, mattatoi e impianti per la produzione di alimenti per animali non comprendono misure rigide per proteggersi dagli aerosol. Questa recente ricerca potrebbe obbligare gli scienziati e il settore alimentare a pensare a come i prioni vengono trasmessi attraverso l'aria e a sviluppare regolamenti che potrebbero minimizzare il rischio di infezione da prioni sia negli esseri umani che negli animali.
"Questi risultati suggeriscono che le attuali linee guida di biosicurezza applicate nei laboratori diagnostici e scientifici dovrebbero comprendere aerosol a prioni come potenziale vettore di infezioni da prioni," scrivono gli autori. .
ANTEPRION ('Development of a preclinical blood test for prion diseases') ha ricevuto 2,45 milioni di euro nell'ambito dell'area tematica "Scienze della vita, genomica e biotecnologia per la salute" del Sesto programma quadro (6° PQ), mentre PRIORITY ('Protecting the food chain from prions: shaping European priorities through basic and applied research') è sostenuto nell'ambito del tema "Alimentazione, agricoltura e pesca e biotecnologia" del Settimo programma quadro (7° PQ) con ben 6 milioni di euro. Fonte: Cordis (09/02/2011)quiMucca pazza e Creutzfeldt-Jakob: facciamo un po’ di chiarezza
La maggior parte delle persone pensa che la questione del morbo della mucca pazza sia un problema del passato. Ma in realtà non lo è abbastanza, e la dimostrazione è il caso di ieri della donna colpita a Livorno. Molti di noi hanno visto le immagini degli animali malati, colpiti da spasmi, che ha causato un allarmismo, spesso ingiustificato, sulla carne bovina. Ma ben pochi di noi conoscono la causa esatta di questa malattia e come essa può influenzare gli esseri umani. Per essere precisi, il morbo della mucca pazza, nella sua origine, era una malattia del cervello che colpiva esclusivamente i bovini. Scoperto nel Regno Unito nel 1986 e, successivamente, propagatosi al resto dell’Europa e dell’Asia, la malattia ha provocato un crollo nel settore della carne bovina europea con la distruzione di interi allevamenti come unico modo per combattere la malattia. Questa malattia non è causata da batteri o virus. In realtà sono i prioni, o proteine, che colpiscono principalmente il cervello, la causa della mucca pazza. Questo comporta uno stato di agitazione alquanto “bizzarro” per un bovino, in cui compare un’insaziabile bisogno di grattarsi un prurito presente nella bocca che diventa improvvisamente secca. Nelle carcasse degli animali morti si possono distinguere dei fori nel cervello, come delle spugne, e questo motivo ha spinto gli esperti a chiamarlo “encefalopatia spongiforme“, o encefalopatia spongiforme bovina (BSE) nel caso delle mucche. I modi tradizionali utilizzati per distruggere i microbi non funzionano con i prioni, e quindi questo contribuisce alla diffusione della malattia. Questa forma non dovrebbe spaventarci perché non è quella pericolosa per l’uomo. L’allarmismo viene creato in realtà non dal morbo della mucca pazza in sé, ma da una sua variante chiamata malattia di Creutzfeldt – Jakob (CJD), che è una malattia degenerativa del cervello. Non c’è cura per questa malattia, ed i pazienti spesso muoiono in pochi mesi. Fortunatamente, questa forma non è contagiosa, e deriva normalmente da conseguenze non volute delle procedure mediche. La CJD normalmente colpisce gli anziani, però recentemente è stata scoperta una variante chiamata vCJD (che sta per la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob), che colpisce anche le persone più giovani, compresi gli adolescenti. Questa forma della malattia è fortemente legata alla mucca pazza. Negli esseri umani, la CJD si manifesta con sintomi psichiatrici, come la depressione o l’ansia, o meno comunemente, una forma di psicosi o schizofrenia. Quando progredisce, si sviluppano tic involontari, ed il paziente può diventare cieco, entrare in coma e morire. L’unico modo per diagnosticare la CJD è con la biopsia del cervello o l’autopsia.
Poiché è incurabile, il modo migliore per combattere la malattia è attraverso la prevenzione. L’unico modo per evitare che la CJD si diffonda è quello di sapere con certezza la provenienza della propria carne bovina. I bovini dovrebbero essere alimentati esclusivamente con piante, e non con alimenti mescolati con residui di mucche morte. La forma principale di prevenzione è non mangiare carne bovina se un caso di mucca pazza è stato ravvisato nella propria zona, ma osservare la provenienza della carne può bastare. Secondo le statistiche infatti la carne prodotta in Europa è sicura, e c’è una possibilità su 10 miliardi di beccare un hamburger che possa provocare la malattia. La percentuale sale quando ci si reca in una zona endemica, o in una nazione in cui i controlli non sono effettuati o sono molto più lievi, come i Paesi del terzo mondo, la Russia o alcuni Paesi dell’Asia, dove però gran parte del cibo, persino l’acqua, va assunto con tutte le cautele del caso. Per questo motivo i casi che si registrano dalle nostre parti provengono o da contagi avvenuti oltre 10 anni fa (come nel caso di ieri), o a causa di una partita di carne proveniente da un Paese senza controlli. Ma c’è anche la possibilità che delle persone che mangiano carne proveniente dalle cosiddette “mucche pazze” non sviluppino la malattia. Per scoprire come mai ciò avviene, gli scienziati del National Institutes of Health, guidati dal dottor Paul Brown, hanno testato i campioni di tessuto da 76 delle 101 persone che sono morte di vCJD. Sorprendentemente, tutti i 76 casi erano
omozigoti per la metionina al codone 129 del gene della proteina prionica.
Tradotto significa che hanno ereditato da ognuno dei loro genitori un gene che sostituisce un aminoacido (metionina) per un altro (valina) in una porzione della proteina prionica che il gene dice al corpo di produrre. Per qualche motivo,
la forma metionina della proteina sembra rendere le persone più sensibili alla vCJD
ha affermato Brown. Ulteriore ricerca in questo senso serve ancora per svelare definitivamente il mistero. [Fonte: Healthmad]fonteI prioni guardiani della specie Lo studio italiano dimostra che queste proteine sono fondamentali per lo sviluppo del cervello Cervello Memoria ricordare Non solo mucca pazza: le proteine che, se alterate, scatenano questa malattia, in condizioni normali svolgono un funzione fondamentale per lo sviluppo del cervello e per i meccanismi che controllano la capacità di reagire a un pericolo. Una ricerca italiana, che ha conquistato la copertina del Journal of Comparative Neurology, ha scoperto che sono il campanello d'allarme che scatta in casi di allerta e stress. Presenti in tutti gli animali, dai più semplici all'uomo, i prioni si comportano come "guardiani delle specie": "senza di essi moltissime specie non sarebbero arrivate fino a noi", osserva il neurobiologo Giuseppe Legname, della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, coordinatore della ricerca. Legname è tornato in Italia dopo aver lavorato negli Stati Uniti con il pioniere delle ricerche sui prioni, il Nobel Stanely Prusiner. I prioni sono indispensabili per reagire a situazioni di pericolo e stress perché tengono desta l'attenzione. Scoprire la funzione svolta da queste proteine in condizioni normali è stato possibile grazie agli esperimenti condotti sui topi nel Laboratorio di biologia dei prioni della Sissa, diretto Legname. Studiando lo sviluppo del sistema nervoso centrale nei topi, i ricercatori hanno visto che i prioni sono più attivi nelle regioni del cervello che integrano segnali di stress, pericolo e paura. Quindi hanno osservato che, una volta eliminati i prioni, i topi diventano incapaci di reagire ai segnali di pericolo. Queste proteine, osserva Legname, sono fondamentali nel funzionamento della regione del cervello che regola le funzioni ormonali, i ritmi fisiologici che fanno alternare veglia e sonno e che regolano le risposte a stress, paura e pericolo. Arrivare a capire questo non è stato facile: eliminando i prioni non si notavano infatti particolari conseguenze e per anni questo aveva fatto pensare che probabilmente non fossero importanti. "Tuttavia - osserva Legname - proprio il fatto che eliminando la proteina non si notassero particolari alterazioni é una prova della sua importanza perché molto probabilmente la sua assenza sia compensata da altre proteine". Verificare questo è il prossimo obiettivo del gruppo di Legname. Si apre così una nuova pagina della ricerca su questa proteina che è un vero dottor Jeckyll e mister Hyde molecolare: naturalmente presente nell'organismo (ma con una funzione finora sconosciuta), era ben nota solo quando si trasformava causando malattie come l'Encefalopatia spongiforme bovina (Bse) e la sua analoga umana, la nuova versione della Creutzfeldt-Jakob. Ansa.it per NEWSFOOD.com fonteGrazie a un amico di facebox, se ho potuto postare questa notizia. Anche lui come me, ha avuto un famigliare deceduto con la stessa malattia.Prione 10 volte più letale 'mucca pazza' (ANSA) - ROMA, 10 FEB - Un gruppo di ricercatori americani ha identificato una proteina prionica che ha lo stesso effetto neurodegenerativo del prione che causa il morbo della 'mucca pazza' ma e' dieci volte piu' pericolosa. La scoperta degli scienziati dello Scripps Research Institute, in Florida e' stata pubblicata online da Pnas. Potra' essere studiata piu' a fondo l'azione dei prioni che agiscono nel morbo di Creutzfeldt-Jakob e si lavorera' ad un'ipotesi sul ruolo delle proteine prioniche in Alzheimer e Parkinson.Morbo della mucca pazza: un esame del sangue per scovarloScienziati britannici hanno sviluppato per la prima volta al mondo un test del sangue per la diagnosi del morbo della “mucca pazza”, la variante della sindrome di Creutzfeldt-Jakob. L’annuncio sulla rivista Lancet. I ricercatori del Medical Research Council Prion Unit, una task force scientifica specializzata negli studi sulla malattia, hanno condotto la sperimentazione su 190 campioni di sangue di cui 21 provenienti da pazienti con la patologia neurologica. Secondo Graham Jackson, uno degli autori del sangue, l’esame del sangue potrebbe aiutare lo screening per la malattia, permettendo di capire se i casi reali siano più alti o più bassi di quelli stimati. Sono 217 distribuiti in 11 Stati diversi i casi ufficiali di persone colpite da quando la malattia è stata individuata per la prima volta nel 1996. Gli ultimi dati disponibili forniti dal Centre Disease`s Control (Cdc) di Atlanta, aggiornati al dicembre 2009, riferiscono di 170 casi nel Regno Unito, 25 in Francia, 4 in Irlanda, 3 negli Stati Uniti, 3 in Olanda. In Italia i casi ufficiali sono 2. All’inizio dell’anno una donna di 44 anni è morta a Livorno, mentre sono in corso accertamenti sul decesso al San Raffaele di Milano, lo scorso 29 gennaio, di una casalinga 59enne di Castelvetrano (Trapani). Se i test fossero positivi si tratterebbe del terzo caso nel nostro Paese MALATTIE DA PRIONI, UN PROBLEMA DI TRAFFICOScoperto per la prima volta il meccanismo tossico dei prioni, versioni anomale della proteina prionica cellulare, ancora piuttosto misteriose per gli scienziati di tutto il mondo: a descriverlo sulle pagine di Neuron* è Roberto Chiesa (nella foto il terzo da destra con il suo gruppo di ricerca), ricercatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano e dell’Istituto Telethon Dulbecco**, il programma carriere di Telethon. Proprio al premio Nobel Renato Dulbecco recentemente scomparso è dedicato questo lavoro di Roberto Chiesa, che si è avvalso anche della collaborazione dell’Università di Milano e dello University College di Londra.
«Abbiamo studiato - spiega Roberto Chiesa - quello che succede nel cervelletto, l’area del cervello che controlla i movimenti, prima che inizi la degenerazione neuronale. Abbiamo visto che in corrispondenza dei primi deficit motori si ha un’alterazione nel rilascio di un particolare messaggero chimico cerebrale, il neurotrasmettitore glutammato. Questo perché, accumulandosi all’interno del neurone, la proteina prionica alterata ostacola il trasporto sulla superficie della cellula di un’altra proteina, un canale per il calcio voltaggio-dipendente, coinvolta nel regolare il rilascio dei neurotrasmettitori. Questo problema ‘di traffico’ è un meccanismo patologico del tutto nuovo che potrebbe essere alla base della disfunzione dei neuroni anche in altre malattie neurodegenerative in cui si osserva un accumulo di proteine alterate all’interno della cellula. Inoltre è un evento precoce e probabilmente reversibile e quindi potenzialmente interessante in chiave terapeutica. Ripristinare il corretto trasporto dei canali per il calcio potrebbe dunque rivelarsi la chiave per evitare la degenerazione dei neuroni, ma naturalmente resta ancora molto da capire – e da scoprire – sui meccanismi con cui questo avviene».
Per farlo Chiesa e il suo gruppo hanno utilizzato un modello murino della malattia di Creutzfeldt-Jakob di origine genetica (quella che nella variante infettiva viene comunemente definita “morbo della mucca pazza”), che riproduce in modo fedele l’andamento della patologia: apparentemente sano alla nascita, sviluppa con il tempo problemi nella coordinazione dei movimenti e dell’equilibrio, successivamente un deficit neurologico.
«Circa il 10% dei casi delle malattie da prioni è di origine genetica - aggiunge Roberto Chiesa - e dipende da specifiche mutazioni di un gene localizzato sul cromosoma 20 che contiene le informazioni per la proteina prionica, piuttosto conservata a livello evolutivo: studiare queste forme genetiche è la strada migliore per cercare di capire a cosa serva questa proteina nella cellula e come le sue alterazioni si traducano in un vero e proprio segnale tossico per il cervello. Chiarire la cascata di eventi molecolari innescata dalla proteina prionica alterata è essenziale per individuare delle possibili terapie in grado di impedire a monte la morte neuronale: come in tutte le malattie neurodegenerative, infatti, la chiave è intervenire il più presto possibile, altrimenti il danno diventa irreversibile».
Balzati agli onori della cronaca alla fine degli anni Ottanta, in occasione dell’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina che dal Regno Unito si è poi diffusa in tutta Europa, i prioni sono entità biologiche ancora cariche di mistero. Benché si conoscano da oltre trent’anni e abbiano fruttato il premio Nobel al suo scopritore Stanley Prusiner, non è ancora chiaro quale ruolo svolgano fisiologicamente nella cellula, né con quali meccanismi portino alla morte le cellule nervose nei pazienti affetti da patologie come la malattia di Creutzfeldt-Jakob, l’insonnia fatale familiare o la sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker. Queste rare patologie, che presentano ciascuna dei sintomi peculiari e sono accomunate da disfunzione e progressiva degenerazione dei neuroni, insorgono in età adulta e hanno un’evoluzione rapida e inevitabilmente fatale.
*A. Senatore, S. Colleoni, C. Verderio, E. Restelli, R. Morini, S. Condliffe, I. Bertani, S. Mantovani, M. Canovi, E. Micotti, G. Forloni, A. Dolphin, M. Matteoli, M. Gobbi, R. Chiesa, “Mutant Prion Protein Suppresses Glutamatergic Neurotransmission in Cerebellar Granule Neurons by Impairing Membrane Delivery of Voltage-gated Calcium Channel a2d-1 Subunit”. Neuron, 2012.
**L’Istituto Telethon Dulbecco (DTI) è un istituto virtuale creato da Telethon nel 1999 per fornire a un gruppo selezionato di ricercatori la possibilità di una carriera indipendente. Questo “istituto” è intitolato al premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco, che nel 1999 decise di devolvere a Telethon il compenso ricevuto per la partecipazione al Festival di Sanremo, ponendo le basi per questa importante iniziativa. Attualmente il DTI conta 20 laboratori, per un totale di oltre 100 persone. Roberto Chiesa è Associate Telethon Scientist presso il dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, dove dirige il laboratorio di Neurobiologia dei prioni. fonteEdited by marisa56 - 3/8/2021, 20:00
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