25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne

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marisa56
view post Posted on 5/11/2019, 19:03 by: marisa56
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Un muro di 880 scarpe per combattere la violenza, ogni paia simboleggia una donna uccisa dal partner

Vahit Tuna è l’artista che ha dato vita a un’opera d’arte per combattere la violenza sulle donne in Turchia. A Istanbul ha allestito un muro di scarpe femminili, dove ogni paia rappresenta una vittima di femminicidio che ha perso la vita a causa del marito o del compagno.

di Valeria Paglionico


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La violenza sulle donne è un fenomeno ancora molto diffuso nella società moderna ma, nonostante il numero delle vittime continua ad aumentare anno dopo anno, viene spesso sottovalutato. In molti casi non si dà la giusta importanza alle denunce e si finisce per intervenire quando ormai è troppo tardi, ovvero quando gli abusi si sono conclusi nel peggiore dei modi, con il femminicidio, È proprio per riportare l'attenzione sul tema, sensibilizzando l'opinione pubblica sulla necessità di affrontare la questione concretamente, che l'artista Vahit Tuna ha dato vita a un'opera molto particolare.

Al grido di "La violenza domestica è una ferita aperta e sanguinante", ha realizzato un vero e proprio muro di scarpe femminili in un edificio di Istanbul, le 440 paia di calzature, tutte nere e con il tacco, riempiono uno spazio di 260 metri, ognuna di loro rappresenta una donna uccisa dal partner. In tutto si contano 880 scarpe, diventate il simbolo di una realtà triste e straziante. Solo nel mese di agosto in Turchia sono state 49 le donne uccise dai mariti o dai compagni e anche nel resto del mondo le cose non vanno bene, nel 2017 le stime hanno stabilito che nel 58% dei casi di femminicidio i carnefici sono sempre i partner delle vittime. L'idea Vahit Tuna non è casuale, ha preso ispirazione da un'antica tradizione turca, secondo la quale dopo la morte di una persona i familiari devono appendere fuori l'ingresso dell'abitazione le sue scarpe. L'obiettivo è sfruttare i 6 mesi in cui il muro rimarrà allestito per trasformare quei tacchi in un simbolo di sfida e indipendenza, solo in questo modo la questione potrà finalmente essere affrontata con serietà e non più con indifferenza.

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Violenza sulle donne, lo Stato spende solo 79 centesimi al giorno per ogni vittima

Secondo i dati dell’indagine Istat sui Centri antiviolenza a sostegno delle donne maltrattate, a rivolgersi a queste strutture nel 2017 sono state in 43.000. I fondi pubblici per i centri antiviolenza erogati nel 2017 sono stati 12 milioni di euro: “Una cifra ridicola – secondo Mariangela Zanni, consigliera di D.i.Re – che spiega il massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza.

di Francesco Di Blasi


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Nel nostro Paese una donna ogni tre giorni muore vittima di femminicidio. Se si guarda al contesto europeo, i dati sono peggiori e l'Italia risulta tra i grandi Paesi europei uno di quelli con il tasso di femminicidi più basso. Dati poco confortanti, se si considera che per i centri antiviolenza, fondamentali per la prevenzione e la protezione delle donne vittime di violenza lo Stato spende poco meno di un euro al giorno. Se a morire nel 2017 sono state 115 donne, nello stesso anno, secondo l'indagine Istat sui Centri antiviolenza attivi in Italia (CAV), a rivolgersi a dei centri antiviolenza sono state in 43.000. Per queste donne attraverso i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati erogati 12 milioni di euro che se divisi per il numero delle donne accolte fa 76 centesimi al giorno: "Una cifra ridicola – sostiene Mariangela Zanni, consigliera dell'Associazione Donne in Rete contro la violenza – che spiega il dato ISTAT del massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza, nonostante essi siano un tassello imprescindibile del Piano nazionale antiviolenza”.

I centri antiviolenza, un'eccellenza sulle spalle del volontariato

I centri antiviolenza italiani sono considerati un'eccellenza, ma questo modello di welfare è in prevalenza sostenuto dall'attività volontaria di professioniste non retribuite che rappresentano il 56,1% del totale a fronte di un 43,9% remunerate. Nonostante l'alta percentuale di contributo volontario il tasso di reperibilità di questi centri è altissimo e si avvicina al 100%. I CAV sono aperti in media 5,1 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno. L’89,7% dei Centri è aperto 5 o più giorni a settimana. La quasi totalità delle strutture ha attivato diverse modalità per essere reperibile in modo continuativo, dal numero verde alla segreteria telefonica al numero di un telefono cellulare. Per gestire le situazioni di emergenza inoltre l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio (strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini).

I centri antiviolenza, un numero ancora insufficiente

La legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 (Legge 27 giugno 2013, n. 77) individua come obiettivo quello di avere un Centro antiviolenza ogni diecimila abitanti. Al 31 dicembre 2017 sono attivi nel nostro Paese 281 Centri antiviolenza pari a 0,05 centri per 10mila abitanti. Un dato preoccupante è anche lo squilibrio del numero dei Centri tra le diverse regioni italiane. Le regioni nettamente al di sotto della media italiana per numero di centri rispetto agli abitanti sono Piemonte, Trento, Lazio e Basilicata e Sicilia, mentre sopra la media si trovano la Valle D'Aosta, Bolzano, Toscana, Abruzzo, Campania, Puglia e Calabria.

Il ruolo dei centri antiviolenza nelle scuole

Oltre ad affiancare le vittime nel percorso di uscita dalla violenza, i Centri svolgono talvolta ulteriori attività sul territorio di loro competenza: la formazione, l’informazione e l’educazione per prevenire la violenza di genere. In particolare il 91,7% dei Centri svolge attività di informazione presso le scuole. Ma l'attività di informazione e formazione è rivolta anche ad altri soggetti: operatori sociali (71,7% dei centri), operatori sanitari (60,5% dei centri), forze dell’ordine (49,8%) e avvocati (43,4%).

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La violenza sulle donne raccontata dagli uomini: “Dietro ogni schiaffo c’è la paura di perderla”

La battaglia culturale contro il femminicidio e la violenza di genere ha prodotto dei risultati: oggi molti uomini maltrattanti hanno raggiunto la consapevolezza del loro problema. E chiedono aiuto a strutture specifiche. “Perché dietro la violenza c’è sempre un’emozione incompresa che va canalizzata”.

di Angela Marino


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Quando si parla di risposta ‘culturale’ al femminicidio si pensa immediatamente a banchi di scuola, aule e lavagne e un insegnante che spiega ai ragazzi che la violenza di genere è degradante e odiosa. Ma non è lì che si combatte la vera battaglia culturale, o meglio, non solo lì. Ci sono altri banchi dove maschi giovani e meno giovani si siedono per ascoltare e ascoltarsi, per capire cosa c’è dietro il loro agire violento, dietro la rabbia e il senso del possesso, dietro la perdita di controllo. Cosa c’è alla radice di quel cortocircuito che li porta all’annientamento fisico e psicologico dell’altra. Per riuscire a fermarsi prima. Prima di uno schiaffo, prima di un calcio, prima che la propria vita e quella dell’altra sia finita sempre.

“Chiariamo: i nostri utenti non vengono qui a fare terapia psicologica o psichiatrica”. Concetta Mingiano psicologa e consulente AIED, ci ha aperto le porte del Centro di via Cimarosa, al Vomero, a Napoli, per spiegarci come funziona un centro per uomini maltrattanti. Nella luce tenue del mattino, l’appartamento al piano terra di uno stabile affogato nel verde del quartiere collinare non ha né l’aspetto di un consultorio né quello di una clinica, piuttosto di una casa. “I nostri uomini – dice Concetta – vengono qui per intraprendere un percorso di rieducazione”.

Lo fanno per scelta o prescrizione di un tribunale?

“ Il 90 per cento delle volte è una scelta autonoma, alla quale in alcuni casi si giunge insieme alla propria compagnia, magari dopo averle promesso di fare qualcosa per cambiare”.

Ci riescono?

“Alcuni sì. Per altri invece il vero lavoro consiste nell’accettare la fine della relazione e lasciare andare la donna. Accettare che una compagna possa mettere fine a una storia e intraprendere una una nuova vita, è spesso il vero grande problema”.

Cosa si nasconde dietro la violenta fisica o psicologica?

“Dietro la violenza”, prende la parola una giovane operatrice mentre le sue colleghe annuiscono, sedute in circolo, "c’è sempre un’emozione. Rabbia, sconfitta, frustrazione o gelosia, è sempre un’emozione inespressa. Gli uomini sono abituati a pensare che piangere o sfogarsi sia ‘da femminucce’…, spesso neanche riescono a comprendere cosa stanno vivendo".

‘Risolvere’ quest’emozione è il modo per preservare il rapporto con la compagna?

"Sì, la ricetta per spegnere l’istinto violento e soffocatorio, ma anche per stare bene con se stessi".

Qual è l'età media dei vostri utenti?

"Le più svariate, sono molto eterogenei tanto per estrazione sociale, quanto per fascia d’età”.

Gli uomini non sono ancora arrivati, le stanze sono vuote e del resto, il loro percorso è protetto e non possiamo vederli. "Posso farvi leggere la testimonianza di un ragazzo molto giovane – suggerisce Concetta – ma già consapevole di avere un problema. Lui è Luca, 18 anni":

Oggi ho dato uno schiaffone a Giulia così forte, che è caduta per terra. Subito, immediatamente dopo mi si è spaccato il cuore e mi sono sentito uno s…o. Quando l’ho presa per un braccio per tirarla su, si è tirata indietro strisciando sul sedere e poi si è messa in piedi con le spalle al muro. Mi aspettavo di vedere paura nel suo sguardo ed ero pronto, come tante altre volte, a rassicurarla e coccolarla, ma ciò che ho visto mi ha gelato. Giulia ha uno sguardo senza più amore per me. Ho cercato di spiegarle, di scusarmi, di convincerla, mi ha detto solo: “Non mi toccare mai più”, mi ha girato le spalle e se ne è andata. E io mo, che faccio?!?

Non c'è bisogno di aggiungere altro.

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