Favole per Bambini

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view post Posted on 30/8/2013, 13:09
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Il Farfallone



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Il farfallone voleva una fidanzata, che naturalmente doveva essere un grazioso fiorellino.
Guardò tutti i fiori, ciascuno se ne stava tranquillo e piegato sul suo stelo, come una signorina deve stare quando non è ancora fidanzata; ma ce n'erano tanti tra cui scegliere, era difficile, e il farfallone non aveva voglia di stare a cercare; così volò dalla margheritina.
I francesi la chiamano Marguerite, e sanno che è capace di prevedere il futuro, come fa quando gli innamorati le staccano un petalo dopo l'altro chiedendo: "M'ama, non m'ama, di cuore, con dolore, mi ama molto, mi ama poco?" o cose simili. Ognuno chiede nella sua lingua.
Anche il farfallone giunse per chiederle qualcosa, non le staccò i petali, ma li baciò uno per uno pensando che con la gentilezza si ottiene di più.
«Dolce margheritina Marguerite!» disse «lei è la donna più intelligente di tutti i fiori! Lei sa prevedere il futuro! Mi dica, la troverò oppure no? E chi sarà? Quando lo saprò, andrò direttamente da lei a chiederle la mano!»
Ma Marguerite non rispose affatto. Non le piaceva essere chiamata donna, perché era una signorina, e quindi non era una donna. Lui le fece le stesse domande una seconda e poi una terza volta, ma non ottenendo neppure una parola da lei, non ebbe più voglia di chiedere di nuovo, e se ne andò via a cercarsi la fidanzata da solo.
Si era all'inizio della primavera, era pieno di crochi e di bucaneve.
«Sono bellissime!» esclamò il farfallone «sembrano graziose cresimande; ma un po' insipide.»
Come tutti i giovani lui preferiva le ragazze un po' più mature. Allora volò dagli anemoni, ma erano un po' troppo acidi, le violette erano troppo romantiche, i tulipani troppo pomposi, le giunchiglie troppo borghesi, i fiori di tiglio troppo piccoli e poi avevano una famiglia troppo numerosa; i fiori di melo sembravano proprio delle rose, ma un giorno c'erano e il giorno dopo erano già caduti, secondo come soffiava il vento, e quello sarebbe stato un matrimonio troppo breve a suo avviso.
Il fiore del pisello era quello che più gli piaceva, era rosso e bianco, tenero e sottile, proprio come quelle ragazze di casa che sono carine e anche brave in cucina. Stava per chiedere la mano, quando vide proprio lì vicino un baccello con un fiore appassito in cima.
«Che cos'è?» chiese.
«Mia sorella» disse il fiore di pisello.
«Ah, col tempo sarà anche lei così!» e, spaventato, il farfallone se ne volò via.
I caprifogli pendevano dalle siepi, erano tante signorine col viso lungo e la pelle gialla, proprio di quelle che a lui non piacevano. Già, ma che cosa gli piaceva? Chiedeteglielo un po'!
La primavera passò. Anche l'estate passò e poi l'autunno; lui era sempre allo stesso punto. I fiori misero i loro vestiti più belli, ma a cosa serviva, ora che non c'era più la fresca e profumata giovinezza? Con la vecchiaia si bada sempre meno al profumo, e poi non è detto che le peonie o la malvarosa abbiano un profumo particolare. Così il farfallone andò dalla menta.
«Non ha nessun fiore, ma è come se fosse un fiore solo, profuma dalla testa ai piedi, ha il profumo dei fiori in ogni sua foglia. Scelgo questa!»
E le chiese la mano.
Ma la menta rimase immobile e tranquilla e alla fine disse: «Amicizia, ma niente di più! Io sono vecchia e anche lei è vecchio! Potremmo tranquillamente vivere uno per l'altro senza sposarci. Non rendiamoci ridicoli alla nostra età!».
E il farfallone non sposò nessuno. Aveva cercato troppo a lungo, e questo non si deve fare. Divenne uno scapolone, come si dice.
Alla fine dell'autunno si mise a piovere e venne la nebbia, il vento soffiava freddo nella schiena dei vecchi salici, e li faceva scricchiolare. Non era affatto bello volare per la campagna coi vestiti dell'estate: l'entusiasmo sbollisce, come si dice.
Ma il farfallone non volò fuori, casualmente era entrato in una porta dove c'era del fuoco in una stufa, faceva caldo come d'estate, lì si poteva vivere, ma
«Vivere non è abbastanza» disse «il sole, la libertà, e un fiorellino bisognerebbe avere!».
Così volò contro il vetro, fu visto, ammirato e puntato con uno spillo in una cassetta di vetro. Di più non si poteva fare.
«Adesso ho anch'io un gambo proprio come i fiori!» commentò il farfallone «non è poi tanto comodo! È un po' come essere sposati: si è legati» aggiunse per consolarsi.
«È una misera consolazione!» dicevano i fiori dei vasi.
"È meglio non fidarsi dei fiori dei vasi" pensava il farfallone "vivono troppo a contatto con gli uomini."

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Hans Christian Andersen


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view post Posted on 16/9/2013, 13:01
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Lo zar Saltan



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In una graziosa casetta dalle finestre fiorite vivevano una volta tre sorelle. Un giorno esse stavano filando nel giardino davanti alla casa e chiacchieravano tra loro.
- Se fossi zarina, - disse la prima – cucinerei con le mie mani un banchetto squisito per tutte le genti del reame.
- Se fossi zarina, - disse la seconda – tesserei un abito meraviglioso per ogni abitante della terra.
- Se fossi zarina, - disse la terza dolcemente – regalerei allo zar un figlio eroe.
In quel momento un giovane aprì il cancello di ferro battuto ed entrò nel giardino.
- Sono lo zar Saltan – egli annunciò. – Passavo da queste parti e mi è capitato di sentire i vostri discorsi. Vuoi essere mia sposa, graziosa fanciulla? – soggiunse rivolgendosi alla terza sorella. – E voi, damigelle, volete essere la cuoca e la tessitrice di corte?
Lo zar fece salire la sua futura sposa su un bianco cavallo e la condusse a palazzo. Quando vi giunsero, si celebrarono subito le nozze e, in onore degli sposi fu indetto un grandioso banchetto. Le stanze del castello risuonavano di allegre grida e di risate; ma nella grande cucina e nella stanza degli arcolai le due sorelle, si rodevano per l’invidia e non riuscivano in nessun modo a darsi pace.
Era trascorso poco tempo quando lo zar dovette balzare sul suo cavallo e partire per la guerra. Per lunghi mesi egli rimase lontano, occupato a combattere i nemici del suo regno, e nel frattempo Dio donò alla zarina un bimbo bellissimo, alto quasi un metro. La zarina lo guardò con amore orgoglioso, come un’aquila guarda il suo aquilotto. Subito fu inviato un messo allo zar con la bella notizia.
Ma le due invidiose sorelle e la vecchia comare Barbarica fermarono per strada il messaggero, lo distrassero con una scusa e gli infilarono nella bisaccia un altro messaggio che diceva: “ La nostra zarina ha donato allo zar un essere mostruoso, un animale sconosciuto. Che dobbiamo fare?"
Non appena lo zar ebbe letto quest’orribile notizia, sentì una pena acuta stringergli il cuore. Poi prese uno stilo e scrisse: “ Si attenda il mio ritorno”.
Il messaggero ritornò al castello, ma non aveva ancora varcato il ponte levatoio quando le due invidiose sorelle, che avevano spiato ansiosamente il suo arrivo, gli afferrarono le briglie, lo fecero scendere da cavallo e lo condussero in cucina. Qui con mille chiacchiere e qualche bicchiere di vino, riuscirono di nuovo a sostituire il messaggio con un altro che diceva: “ Che la zarina e la sua creatura siamo chiusi in una botte e gettati immediatamente in fondo al mare. Ordine dello zar”.
Il nunzio portò il messaggio ai nobili del palazzo ed essi, benché inorriditi e sconvolti, dovettero eseguire l’ordine del loro sovrano. Presero la zarina e il suo bellissimo bimbo, li chiusero in una botte e li gettarono nel nero mare, in balia delle onde. Poi tornarono al castello e, assaliti dal rimorso, si coprirono il capo di cenere.
Scese la notte: le stelle si accesero, la luna mandò i suoi raggi a inargentare le onde del mare.
Laggiù, tra onda e onda, cullata dal vento, una botticella continuava il suo viaggio. Piangeva nell’interno la zarina e cercava invano, battendo i piccoli pugni sul legno, di spezzarlo; il principino cresceva di ora in ora, diventava grande, bello e forte, e implorava l’onda ad alta voce:
- Onda gentile, onda inargentata, tu che accarezzi le rive del mare, tu che levighi i sassi dei fiumi, tu che vai cantando, libera e felice, la tua canzone, ti prego, non farci morire, abbi pietà di noi, salvaci! Facci approdare su una riva amica! Fa che troviamo gente ospitale che ci accolga nella sua terra!
L’onda ubbidì. Prese la botticella e la depose sulla spiaggia, poi si ritirò quietamente. Il principino si drizzo in piedi, punto il capo contro il coperchio e questo si spezzò, lasciando uscire la zarina e suo figlio. Si ritrovarono in un isola deserta, coperta di verdissimi prati e dominata da una collina, su cui s’innalzava, ben salda, una quercia. La zarina rivolse lo sguardo al cielo e s’inginocchiò sulla spiaggia per ringraziare Dio di averli tratti in salvo. Il fanciullo si guardò attorno, poi si diresse subito verso la grande quercia e ne spezzo un ramo. Ne staccò le foglie, e lo mise da parte. Poi sfilò il cordone di seta della croce che portava al collo, prese il ramo, curvò ad arco e all’estremità legò il cordone; staccò un ramoscello e lo appuntì per farne una freccia, e con il nuovo arco s’incamminò lungo la spiaggia per procurare la cena per sé e per sua madre.
A un tratto gli giunsero all’orecchio dei gemiti. “ Chi può essere? “ pensò il principino, allarmato. “ Chi mai si lamenta su quest’isola deserta? “ ma ecco, i gemiti si facevamo sempre più vicini, si udiva un ronzio, un batter d’ali …e laggiù, tra le alghe, il fanciullo scorse un cigno meraviglioso, con le ali di un candore abbagliante, nell’atto di difendersi dagli assalti di un orribile sparviero dal becco spalancato. Lo sparviero aveva già sfoderato gli artigli e protendeva il becco adunco … quando la freccia del principino trafisse l’aria sibilando e gli penetrò nel collo. Subito l’uccellaccio piombò a picco nel mare lanciando un urlo lacerante, e il suo sangue tinse l’acqua di rosso. Allora il cigno levò verso il fanciullo il suo lungo collo flessuoso e cominciò a parlare con voce dolcissima:
- Grazie, figlio dello zar, per avermi salvata. Io non sono un cigno, ma una fanciulla vittima di un incantesimo, e quello che tu hai trafitto non era uno sparviero, bensì il mago crudele che mi teneva prigioniera. Io ti sarò grata per sempre di ciò che hai fatto e ti sarò al fianco quando avrai bisogno di me. Ora torna da tua madre e và a riposare. Addio! – E il cigno si levò in volo.
Il principino guardò a lungo il cigno che si allontanava e poi tornò da sua madre e tutti e due si addormentarono sulla riva del mare … e il mattino dopo, non appena i sogni della notte fuggirono via, una meravigliosa sorpresa attendeva il principino! L’isola non era più deserta, ma vi s’innalzava una grande città, circondata da bianche mura merlate; le torri dei palazzi e le cupole dei monasteri risplendevano al sole e un gioioso scampanio annunciava una grande festa.
- Mamma, mamma guarda! – gridò il fanciullo, destando la zarina.
- Oh! – mormorò la zarina. – Chi mai avrà fatto sorgere, stanotte, questa città?
E insieme si avviarono verso i cancelli.
- Senti questo scampanio? – disse ad un tratto la zarina. – Sembra che ci sia una grande festa. Chi sarà il festeggiato?
- Guarda, mamma, le carrozze dorate che vengono da questa parte, con dentro tante dame e tanti cavalieri! E guarda che magnifici cavalli! E quanta gente viene verso di noi! Che cosa vorrà?
- Vogliamo incoronarti nostro principe, fanciullo – gli disse un vegliardo dalla lunga barba bianca.
Poi gli posò sul capo biondo una corona e soggiunse:
- Che d’ora innanzi tu sai il nostro amato sovrano, con il nome di principe Guidone.
Grandi acclamazioni si levarono. La folla si strinse festante attorno al fanciullo sovrano mentre la zarina piangeva di gioia. Poi la zarina e il fanciullo furono accompagnati nello splendido palazzo reale, dove ebbero luogo grandi festeggiamenti.
Una nave correva veloce sulle onde, le grandi vele spiegate. Il nocchiero, dall’alto, scrutava l’orizzonte. A un tratto, un grido:
- Terra in vista!
I marinai si affollarono sul ponte.
- E’ l’isola deserta! L’isola della quercia! – gridò uno.
- E ora vi sorge una città, con torri e le mura merlate! Che strano prodigio è mai questo?
- Sentite? I cannoni sparano a salve per invitarci ad approdare. Presto, accostate! Gettare l’ancora!
I marinai scesero a terra e il principe Guidone mandò ambasciatori per invitarli a palazzo e fece preparare un banchetto.
- In cosa commerciate, ospiti? – chiese il principe.
- In pellicce e pietre preziose. Abbiamo viaggiato in lontane contrade, e ora stiamo tornando in patria, nella terra del glorioso zar Saltan.
A queste parole il principe Guidone trasalì.
- Che il mare vi trasporti quietamente e il vento vi possa sospingere fino in patria, naviganti – disse – E, là giunti recate il mio saluto allo zar Saltan.
I marinai risalirono sulla nave e ripartirono, mentre sulla riva il principe Guidone guardava sospirando le bianche vele che si allontanavano veloci sul mare. Un guizzo sull’acqua, uno scintillio di bollicine d’argento, una cascatella di candida spuma, ed ecco che la dolce principessa Cigno apparve sulla cresta dell’onda.
- Salute a te, mio principe – ella disse. – Perché mai sei così triste e malinconico?
- La nostalgia della mia terra e il desiderio di rivedere mio padre mi opprimono, cigno gentile.
- Io sono in grado di alleviare il tuo dolore, principe. Non vorresti volare dietro alla nave fino alla tua terra e a tuo padre? Ebbene, farò in modo che il tuo desiderio venga esaudito: che tu sia trasformato in una zanzara!
Il cigno scosse le ali e spruzzo il principe di mille goccioline d’argento. Egli divenne fin quasi a scomparire … e si trasformò in uno zanzarino, che volò ronzando dietro la nave.
La nave correva veloce su un mare tranquillo, sospinta da un allegro venticello. Il principe zanzarino la seguiva, volando sulla scia, con gli occhi rivolti alla sua patria. Ecco la terra! Ecco le bianche torri! I naviganti approdarono felicemente e una gran folla venne loro incontro per salutarli. Ad accoglierli c’erano anche i messaggeri dello zar che li invitarono a palazzo.
Nella sala delle udienze lo zar Saltan sedeva sul trono con il volto malinconico e assente come se il suo pensiero vagasse lontano. Le due invidiose cognate e la comare Barbarica gli sedevano accanto in silenzio. Lo zanzarino fece un voletto affettuoso attorno al capo dello zar, poi si posò sulla sua manica sinistra.
- Da quali paesi venite? – chiese lo zar. – Avete viaggiato a lungo? Quali meraviglie avete visto nel grande mondo?
- Molte cose straordinarie abbiamo viste. Strane usanze e incantevoli paesaggi. Ma la cosa più strana e meravigliosa è stata questa: dove un tempo sorgeva un’isola deserta, è sbocciata d’un tratto una bellissima città, con le cupole d’oro risplendenti al sole, i giardini profumati e una reggia grande e imponente. Vi regna il principe Guidone, che ti manda i suoi saluti.
- Ma è un fatto veramente prodigioso! – esclamò lo zar Saltan. – Questa strana isola mi incuriosisce molto. Voglio proprio andare a vederla e a rendere visita al principe Guidone.
Le tre donne si guardarono. Chi era mai questo principe Guidone? Nessuno ne aveva sentito parlare.
- Ma che cosa c’è di tanto straordinario in quello che avete raccontato? – saltò su allora la sorella cuoca. – Io sì che conosco un posto dove succedono cose stupefacenti ….
E dopo una pausa, proseguì:
- In un bosco di mia conoscenza c’è un abete, sotto l’abete c’è uno scoiattolo, lo scoiattolo canta canzoncine e sgranocchia continuamente noccioline. Le noccioline hanno il guscio d’oro e la mandorla di smeraldo.
Lo zar, pieno di stupore, aveva già dimenticato la strana isola con le cupole splendenti. Allora lo zanzarino andò ronzando a pungere la cuoca sopra l’occhio destro. Potete immaginarvi il parapiglia che si scatenò! Tutti correvano, urlando, si sbracciavano per afferrare l’impudente zanzarino, ma questi fuggì via dalla finestra spalancata e se ne tornò alla sua terra.
Alcune sere dopo, il principe, che aveva ripreso il suo aspetto umano, passeggiava sulle rive del mare, sospirando. La luna mandava i suoi raggi sull’acqua. Ma ecco, i raggi s’intrecciano in modo bizzarro, disegnando un’ala, lungo collo, un cigno!
- Salve, mio principe! – mormorò dolcemente la principessa Cigno – Perché passeggi triste e pensieroso sulle rive del mare?
- Un desiderio irrealizzabile mi tormenta, cigno gentile. Laggiù, nella reggia di mio padre, ho udito parlare di un bosco dove vive uno scoiattolo che, cantando una canzoncina, sgranocchia noccioline d’oro purissimo che hanno l’interno di smeraldo. Io vorrei possedere questo scoiattolo, ma purtroppo ciò non può avverarsi.
- Non rattristarti, mio principe. Ciò che desideri non è impossibile. Sono felice di poterti aiutare e di provarti la mia riconoscenza. Torna a casa e vedrai …
Rasserenato, il principe Guidone ritornò a casa e … vi immaginate che cosa vide non appena ebbe varcato il cancello del suo giardino? Lo scoiattolo fatato che sgranocchiava allegramente noccioline e faceva tanti mucchietti dei gusci d’oro e dei frutti di smeraldo! I dignitari e le dame di corte lo guardavano con gli occhi spalancati per la meraviglia.
Il principe batté le mani per la contentezza; ringraziò dentro di sé il cigno amico e fece costruire per lo scoiattolo una bellissima casetta di cristallo, con la vaschetta per fare il bagno, la spazzolina per pettinarsi la lunga coda e un’altalena per cullare i suoi sogni.
La nave correva veloce sull’onda, sospinta dal vento. Il sole giocava con le sue vele e con il ponte, bruciate sotto i suoi raggi. Poi l’isola della quercia si delineò all’orizzonte e i cannoni a salve per invitare i naviganti a entrare nel porto. Ammessi nella reggia, i marinai chinarono la testa davanti al principe la testa davanti al principe Guidone.
- Che nuove mi portate, ospiti? – chiese il principe. – Da quale terra venite e dove state andando?
- Siamo andati in lontani paesi e abbiamo commerciato in cavalli; ora stiamo navigando verso la terra di Saltan, nostro zar.
- Vi auguro che la vostra nave giunga felicemente in porto, naviganti. E, non appena sarete in patria, vi prego, non dimenticate di dire allo zar Saltan che il principe Guidone gli manda il suo saluto.
Gli ospiti si accomiatarono da lui e ripartirono sulla loro nave. Guidone andò a passeggiare sulla riva del mare, fissando lo sguardo sulle bianche vele che si allontanavano. Il cigno si avvicinò silenziosamente al giovane e gli disse:
- Che hai, mio principe? Perché te ne stai qui solo soletto e sospiri? Che cosa ti affligge questa volta?
- Una grande nostalgia mi punge il cuore. Vorrei volare via come quella nave, sulla cresta dell’onda, verso la mia patria e mio padre, ma non ho ali che mi trasportino.
Il principe non aveva ancora finito di parlare che già la principessa Cigno aveva scosso le ali ed egli si era trasformato in un ronzante moscone.
- Addio, cigno gentile! E grazie! – e il principe moscone andò a posarsi sull’albero maestro.
lo zar e i marinai La nave correva veloce sull’onda e già entrava nel porto. I naviganti furono invitati a reggia dallo zar Saltan e il nostro audace moscone volò dentro con loro. Lo zar era seduto su un trono tutto d’oro, aveva in capo una corona risplendente di pietre preziose, ma il suo sguardo era triste. Accanto a lui, come sempre, erano sedute le due cognate e la comare Barbarica.
- Da dove venite, naviganti? – chiese lo zar Saltan. – Avete fatto buon viaggio? Che novità vi sono nel mondo?
- Abbiamo visto cose meravigliose, sire, ma la più meravigliosa di tutte è stata questa: in mezzo al mare vi è un’isola in cui è sorta all’improvviso una città dalle cupole risplendenti. Nel giardino della reggia cresce un abete: sotto l’abete c’è uno scoiattolo che canta una canzoncina e sgranocchia noccioline i cui gusci sono d’oro e i cui frutti sono di smeraldo. Lo scoiattolo vive in una casetta di cristallo. Con i gusci gli isolani coniano monete e gli smeraldi vengono distribuiti agli abitanti. Signore di quest’isola è il principe Guidone, che ti manda il suo saluto e ti invita nella sua terra.
L’animo dello zar si riempì di stupore ed egli esclamò:
- Allestitemi una flotta. Voglio andare a vedere quest’isola incantata e a far visita al principe Guidone.
Ma le due sorelle e la comare Barbarica si guardarono sospettose. Chi era mai questo principe Guidone?
- Che gran cose raccontate! – esclamò con voce rauca la tessitrice. – Ma che cosa c’è di tanto strano nel fatto che uno scoiattolo sgranocchi noccioline d’oro? Vi racconterò io un fatto molto strano più strabiliante.
Nella sala si fece improvvisamente un gran silenzio. La tessitrice proseguì cantilenando:
- Sulle rive di un mare lontano, agli estremi confini della terra, si dice succeda questo strano fenomeno; percorso da un vento di tempesta, il mare ribolle, schiumeggia, si gonfia; dalle sue acque sorgono infine trentatre guerrieri alti e forti e armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Questo si che è un prodigio unico al mondo!
Tutti ammutolirono per la meraviglia e lo zar Saltan era già dimenticato dell’isola della quercia. Il moscone allora s’infuriò e, ronzando sul capo della tessitrice, la punse sotto l’occhio sinistro.
- Uccidetelo! – urlavano tutti. – Presto, acchiappatelo! Non lasciatelo scappare ! di qua! No, di là!
Ma il principe moscone fuggì via veloce attraverso la finestra e se ne tornò alla sua terra. La sera, dopo il tramonto, il principe Guidone andava sulle rive del mare. Nuotando silenziosamente, gli s’accostò ancora una volta la dolce principessa Cigno.
- Che hai, mio principe? – mormorò. – Perché passeggi triste e pensieroso sulla riva del mare? Perché guardi l’orizzonte e sospiri? Che cosa c’è che non va?
- Un grande desiderio mi riempie il cuore gentile. Ho sentito dire che vi è un luogo nel mondo in cui il mare, percosso da un vento di tempesta, ribolle, schiumeggia e infine lascia uscire dalle sue acque trentatré guerrieri alti e forti armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Oh, come vorrei poter vedere con i miei occhi questo strano prodigio! Ma purtroppo non potrò mai realizzare questo desiderio …
- Non rattristarti, mio principe. Io posso aiutarti a realizzare il tuo desiderio. Quei guerrieri del mare sono miei fratelli. Torna a casa tranquillo e attendi …
Il principe tornò a casa rasserenato e salì in cima alla più alta torre, fissando lo sguardo sul mare. A un tratto un soffio di tempesta sconvolse il mare, che ribolle, schiumeggia, si gonfia, poi lascia sulla sabbia trentatré fortissimi guerrieri, rivestiti di squame lucenti. I guerrieri avanzano in fila, le armi in pugno, e innanzi a tutti va l’antico eroe Tcernomor.
Guidone si precipitò giù dalle scale e corse incontro agli ospiti. Le guardie spalancarono i cancelli della città per fare entrare i trentatré guerrieri. I guerrieri entrarono con il capo fieramente eretto, e le loro squame mandavano bagliori sinistri. Il capo, Tcernomor, si presentò al principe Guidone.
- La principessa Cigno, nostra sorella, ci ha mandato da te, affinché sorvegliamo la tua gloriosa città. Tutti i giorni, alla stessa ora, noi emergeremo dalle acque e monteremo la guardia alle mura. Così voi potete riposare tranquilli. A domani, dunque!
E i guerrieri scomparvero nuovamente nel fondo marino.
La nave correva veloce sul mare, un vento leggiero increspava le onde. Ecco apparire l’isola dalle cupole splendenti! I cannoni spararono a salve, invitando il veliero a entrare nel porto. Ecco i naviganti davanti al principe Guidone.
- Da dove venite. Ospiti, e dove state andando? In cosa avete commerciato? In pellicce, in cavalli o in pietre preziose?
- In corazze, principe, e in oro zecchino. E ora stiamo tornando nella nostra patria, dove regna lo zar Saltan.
- Che un vento amico sospinga la vostra nave e che possiate giungere in patria sani e salvi. Porgete, vi prego, i miei saluti allo zar Saltan.
I marinai tornarono sulla nave e ripartirono e il principe Guidone rimase sul lido, con lo sguardo fisso alle bianche vele che s’allontanavano. Un guizzo sull’acqua, uno scintillio di piume bianche e ancora una volta il cigno apparve sulla cresta dell’onda.
- Che hai, mio principe, che te ne stai qui tutto solo soletto a sospirare, e guardi la nave che si allontana in fretta sul mare?
- Una pena infinita mi opprime, cigno gentile. La mia anima vorrebbe volar via …
Un breve sbatter d’ali, uno spruzzo di argentee goccioline e il principe, trasformato in calabrone, volò via ronzando sulla scia della nave. Scese la notte punteggiata di stelle, poi sorse un nuovo giorno. Il calabrone continuava a volar dietro la nave e i grandi uccelli del mare lo guardavano stupiti.
Laggiù, il porto sicuro attendeva la nave che si avvicinava a vele spiegate. Ecco, la nave entra in porto, i cancelli della reggia si spalancano, giungono i naviganti scortati dalle guardie d’onore, e dietro di loro vola il calabrone. Lo zar Saltan sedeva sul trono d’oro lucente, ma un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Egli ricevette con tutti gli onori i naviganti, li invitò alla sua tavola, poi prese a interrogarli:
- Ditemi, ospiti, quali terre avete visitate? Quali nuove meraviglie avete visto nel vasto mondo?
- Siamo andati in lontane contrade, sire, e abbiamo visto molte meraviglie, ma la meraviglia più grande è stata questa: su un’isola un tempo deserta sorge ora una città in cui ogni giorno accede uno strano prodigio. Il mare ribolle e schiumeggia, scagliando le sue onde sul lido, e dalla spuma delle onde emergono trentatré guerrieri alti, forti e ben armati, guidati dall’antico eroe Tcernomor. Essi avanzano verso le mura della città e montano la guardia all’isola, rimanendo dritti e immobili fino al calare del sole. Solo allora rientrano ne mare. Signore di quest’isola è il principe Guidone, che ti manda il suo saluto più affettuoso.
Lo zar Saltan si sentì preso da grande meraviglia ed esclamò:

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- Presto allestitemi una flotta! Voglio recarmi nell’isola misteriosa a fare visita al principe Guidone. Ma le due invidiose sorelle e la comare Barbarica si guardarono bieche in volto. Chi era dunque questo misterioso principe Guidone? E se fosse stato? … No, lo zar non doveva assolutamente andare a fargli visita!
- Non stare ad ascoltare questa gente, mio zar! – esclamò allora la vecchia comare Barbarica. – che cosa c’è di tanto strano se i guerrieri escono dal mare e montano la guardia a una città? Ora ti racconterò io un fatto molto più straordinario. Al di là dei mari, in una terra sconosciuta, dicono che viva una principessa bellissima. Di giorno ella offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Nelle sue trecce nerissime splende una falce di luna e sulla sua candida fronte brilla una stella. Tanta è la sua grazia nel camminare che pare un cigno che scivoli sull’acqua, e la sua voce sembra il canto della sorgente.
Tutti ascoltavano incantati. Ma a un tratto si udì un grido: il calabrone aveva punto il naso della comare Barbarica, poi era volato via in gran fretta.
La sera era scesa sul mare e sulla terra. I raggi della luna giocavano con le onde increspate dal vento. Pensieroso, il principe Guidone s’aggirava sulla spiaggia.
- Che hai, mio principe, per aggirarti così triste e malinconico? – mormorava il cigno avvicinandosi. – Quale altro desiderio ti accora?
- Un desiderio ancora più grande degli altri, mio cigno, ma ancora più difficile da realizzare. Laggiù, nella reggia di mio padre, ho sentito parlare di una fanciulla di meraviglia bellezza, che di giorno offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Una falce di luna le splende nelle nere trecce e una stella le brilla in fronte. Quand’ella cammina sembra che scivoli sull’acqua e la sua voce sembra il canto della sorgente. Vorrei che quella fanciulla diventasse mia sposa … ma questo non è che un sogno.
Un lungo silenzio seguì queste parole. Non si sentiva che il mormorio delle onde e il fruscio del vento. Infine la dolce principessa Cigno rispose esitante.
- La fanciulla che cerchi esiste veramente, mio principe, ma sei proprio sicuro di volerla sposare? Pensaci bene, per non doverti pentire in seguito.
- Ci ho pensato abbastanza e ormai ho deciso. Stanotte stessa partirò per andare alla ricerca della fanciulla dalla stella in fronte.
- Non c’è bisogno che tu parta, mio principe – sussurrò allora il cigno. – Attendi e vedrai …
E davanti agli occhi del principe accadde un fatto straordinario. Il cigno aprì le ali come per volare via, tese verso l’alto il lungo collo; una nube di spuma lo nascose agli occhi del principe, poi … una fanciulla di meravigliosa bellezza apparve al suo posto: una falce di luna le splendeva nelle nere trecce e una stella le brillava in fronte; ella camminava sull’acqua lieve come un cigno che scivoli sulle onde e quando parlava la sua voce era armoniosa come il canto della sorgente.
- Sono io la fanciulla che cercavi – ella disse. – E, se tu vuoi, sarò la tua sposa.
Il principe la prese per mano e la condusse davanti a sua madre. I due giovani s’inginocchiarono davanti a lei e Guidone pregò:
- Questa è la sposa che ho scelto, mamma. Dacci il tuo consenso e la tua benedizione, perché i tuoi figli possano vivere nella gioia e nell’amore.
Felice, la zarina benedisse i due giovani e, la sera stessa si celebrarono le nozze.
A vele spiegate, la nave correva sulle onde, sospinta dal vento. Passò davanti l’isola dalle torri spendenti, i cannoni sparano a salve e la nave entrò in porto. I naviganti sono introdotti nella sala del trono dal principe Guidone. Accanto a lui siede la principessa Cigno e un dolce chiarore la circonda.
- In che cosa commerciate, miei ospiti? – s’informa il principe. – Verso quale terra siete diretti?
- Ci siamo recati in terre lontane, principe, e abbiamo commerciato in spezie. Ora stiamo facendo ritorno in patria, la terra del glorioso zar Saltan.
- Che il mare vi sia propizio, miei ospiti, e le onde non vi travolgono. Quando giungerete in patria, recate il mio saluto allo zar Saltan e ricordategli la sua promessa di venirmi a trovare.
I naviganti ripartirono, ma questa volta il principe Guidone non li seguì pensieroso sulla riva del mare, con lo sguardo rivolto alle vele fuggenti. Questa volta il principe restò felice nella reggia, accanto alla sua sposa luminosa. Nulla più lo spingeva ad andare sull’ampio mare.
Il veliero giunse nel porto, le bianche vele spiegate; i naviganti furono invitati a corte dallo zar. Egli sedeva sul suo trono d’oro lucente e un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Le tre donne gli sedevano accanto sospettose. Saltan invitò gli ospiti a banchetto e poi prese a interrogarli:
- Ditemi, naviganti, quali terre avete visitato? Quali nuove meraviglie avete visto?
lo zar saltan guidone e la principessa cigno - Abbiamo visitato lontane contrade e abbiamo visto molte meraviglie, sire. Ma la meraviglia più grande è stata questa: in un’isola una volta deserta è sorta una grande città dalle cupole risplendenti al sole. Nel giardino della reggia c’è uno scoiattolo che sgranocchia noccioline d’oro con la mandorla di smeraldo. Attorno alle mura ci sono trentatré guerrieri che escono ogni giorno dal mare schiumeggiante per venire a custodire la città. E nella sala delle udienze c’è una fanciulla di straordinaria bellezza, con una falce di luna nei capelli e una stella in fronte. Quand’ella cammina pare un cigno che scivoli sull’acqua e quando parla sembra una sorgente che mormori il suo canto. Ella è la sposa del principe Guidone, che ti saluta e ti rinnova il suo invito.
Allora lo zar prese la grande decisione: fece allestire la flotta e si preparò al lungo viaggio. Invano, questa volta, le due invidiose sorelle e la vecchia comare Barbarica tentarono di trattenerlo.
- Lasciatemi! – egli gridò sdegnosamente. – Sono o non sono lo zar? – E se ne uscì a grandi passi.
Su una torre del castello il principe Guidone scrutava il mare in lontananza. Alcuni gabbiani roteavano pigramente sull’acqua, lanciando ogni tanto il loro stridulo grido. Ma null’altro, né uomo né animale, rompeva il silenzio e la solitudine del luogo. Eppure … c’era qualcosa laggiù, un puntino che s’ingrandiva via via che s’avvicinava … sì, era una grande vela bianca, era il veliero dello zar Saltan!
Quando la nave approdò nel porto, i cannoni spararono a salve e le campane sonarono gioiosamente. Guidone stesso si recò incontro al padre, si prostrò ai suoi piedi, poi, in silenzio, lo precedette verso la reggia. Schierati ai cancelli della reggia, c’erano i trentatré guerrieri e l’antico eroe Tcernomor, che presentarono le armi allo zar. Nel giardino, lo scoiattolo fatato sgranocchiava noccioline d’oro e cantava la sua gaia canzoncina. E sulla soglia della sala del trono una bellissima fanciulla attendeva lo zar: aveva una falce di luna nei capelli e una stella rilucente in fronte. Teneva per mano la zarina e sorrideva.
Lo zar guardò la zarina e trasalì. “ La mia dolce sposa perduta da anni …” pensò e , scoppiando a piangere come un bambino, abbracciò la moglie, il figlio e la giovane principessa.
Le due malvagie sorelle e la comare Barbarica, che avevano seguito lo zar, si nascosero negli angoli più bui del castello. Ma Guidone mandò i servi a cercarle e le invitò al grande banchetto, e la zarina perdonò le sue invidiose sorelle. Una grande gioia scese nel cuore di tutti.
I trentatré guerrieri intanto montavano la guardia perché nessuno disturbasse il banchetto regale, mentre lo scoiattolo sgranocchiava noccioline vere sulla tavola del principe Guidone.

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Aleksandr Puskin


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Le tre voglie



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C'era una volta un uomo che non era per niente ricco; si sposò con una donna bellina.
Una sera, era d'inverno, stavano a sedere sul canto del fuoco e parlavano delle grandi soddisfazioni dei loro vicini, che erano più ricchi di loro.
- Ma oh - disse la moglie - se potessi avere io tutto quello che voglio, sarei di certo più soddisfatta e contenta di quelli là. -
In quel preciso momento videro apparire lì nella stanza una bella signora che gli disse:
- Dato che sono una fata, prometto di concedervi le prime tre cose che chiederete. Ma, occhio: dopo le prime tre non vi concederò più niente. -
- Per me - disse la moglie - so benissimo quello che mi fa voglia: ancora non lo dico, ma mi sembra che non ci sia niente di meglio che essere bella, ricca e gran signora.-
- Ma sentila - disse il marito - perché, anche sistemato così, a uno non può succedere di essere malato, di essere triste, di morire giovane? Meglio, molto meglio sarebbe chiedere salute, allegria e una vita più lunga. -
- Ma che se ne fa della vita lunga uno che è povero vergognoso? - rispose la moglie - Per far bene, la fata avrebbe dovuto promettercene almeno una dozzina di questi regali -
- In questo sono d'accordo con te - disse il marito - ma non facciamoci prendere dalla furia. guardiamo bene, da qui a domattina, di capire quali sono le tre cose che ci sono più necessarie; e poi chiediamole. Mentre si aspetta mettiamo un altro po' di legna sul fuoco, perché mi è preso freddo. -
Subito la moglie prese le molle e rassettò il fuoco e quando vide che tutti i tizzi avevano ripreso a bruciare benissimo, disse senza pensarci:
- Con questo bel fuoco vorrei avere un pezzo di buristio per la nostra cena: arrostirebbe da fare invidia. -
Non aveva finito di dirlo che dalla cappa del camino venne giù un buristio intero, unto, nero di sangue di maiale, che era una delle sette meraviglie.
- Che ti venga un canchero in cotesta gola!- berciò il marito. - Ora non ci rimane che due cose da chiedere. Per me mi fai tanta bile che vorrei che quel buristio ti venisse sulla punta del naso. -
Detto fatto, il marito si accorse di essere stato anche più matto della moglie perchè, con questa seconda richiesta, il buristio era saltato al naso di quella povera donna e non c'era più verso di staccarlo.
- Chi ha mai conosciuto una donna più disgraziata di me! - disse urlando e piangendo la moglie.
- Sei davvero una bella carogna, se avevi voglia di vedere questo buristio sulla cima del mio naso! -
- Moglie mia te lo giuro, non ci ho proprio pensato. Vuol dire che ora chiederò grandi ricchezze e così potrò farti fare un astuccio tutto d' oro e pietre dure per conservare e nascondere codesto buristio.
- Levatelo subito dalla testa - strillò ancora più roca la moglie - mille volte preferirei ammazzarmi piuttosto che vivere con questa specie di salame morbido attaccato al naso. Dammi retta non ci resta che una voglia da dire, lasciatela dire a me o mi butto subito dalla finestra. -
- Fermati, cara moglie! Ti lascio chiedere tutto quello che vuoi -
- Allora - disse la moglie - chiedo che il buristio caschi per terra. -
Subito il buristio si staccò e la donna, che era sveglia di mente disse al marito:
- La fata ci ha preso per il bavero; e forse ha fatto bene. Può anche darsi che saremmo stati più disgraziati di come lo siamo ora. Credimi, marito mio, è meglio avere meno voglie e prendere le cose come vengono, come Dio le manda; e mentre si aspetta vediamo di far cena con questo buristio, che di tutto quello che si è chiesto è tutto quello che si è avanzato. -
Il marito pensò che la moglie aveva ragione: cenarono di buonissimo umore e non s' impicciarono più delle cose che avrebbero avuto voglia di avere.
la fata





di LEPRINCE DE BEAUMONT


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view post Posted on 13/11/2013, 06:40
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La piccola fiammiferaia




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Era la fine dell'anno faceva molto freddo.
Una povera bambina camminava a piedi nudi per le strade della città.
La mamma le aveva dato un paio di pantofole, ma erano troppo grandi e la povera piccola le aveva perdute attraversando la strada.
Un monello si era precipitato e aveva rubato una delle pantofole perdute.
Egli voleva farne una culla per la bambola della sorella.
La piccola portava nel suo vecchio grembiule una gran quantità di fiammiferi che doveva vendere.
Sfortunatamente c'era in giro poca gente: infatti quasi tutti erano a casa impegnati nei preparativi della festa e la poverina non aveva guadagnato neanche un soldo.
Tremante di freddo e spossata, la bambina si sedette nella neve: non osava tornare a casa, poiché sapeva che il padre l'avrebbe picchiata vedendola tornare con tutti i fiammiferi e senza la più piccola moneta.
Le mani della bambina erano quasi gelate.
Un pochino di calore avrebbe fatto loro bene! La piccola prese un fiammifero e lo sfregò contro il muro.
Una fiammella si accese e nella dolce luce alla bambina parve di essere seduta davanti a una grande stufa!
Le mani e i piedi cominciavano a riscaldarsi, ma la fiamma durò poco e la stufa scomparve.
La piccola sfregò il secondo fiammifero e, attraverso il muro di una casa, vide una tavola riccamente preparata.
In un piatto fumava un'oca arrosto.... All'improvviso, il piatto con l'oca si mise a volare sopra la tavola e la bambina stupefatta, pensò che l'attendeva un delizioso pranzetto.
Anche questa volta, il fiammifero si spense enon restò che il muro bianco e freddo.
La povera piccola accese un terzo fiammifero e all'istante si trovò seduta sotto un magnifico albero di Natale.
Mille candeline brillavano e immagini variopinte danzavano attorno all'abete.
Quando la piccola alzò le mani il fiammifero si spense.
Tutte le candele cominciarono a salire in alto verso il cielo e la piccola fiammiferaia si accorse che non erano che stelle.
Una di loro tracciò una scia luminosa nel cielo: era una stella cadente.
La bambina pensò alla nonna che le parlava delle stelle.
La nonna era tanto buona! Peccato che non fosse più al mondo.
Quando la bambina sfregò un altro fiammifero sul muro, apparve una grande luce. In quel momento la piccola vide la nonna tanto dolce e gentile che le sorrideva.
-Nonna, - escalmò la bambina - portami con te! Quando il fiammifero si spegnerà, so che non sarai più là. Anche tu sparirai come la stufa, l'oca arrosto e l'albero di Natale!
E per far restare l'immagine della nonna, sfregò uno dopo l'altro i fiammiferi.
Mai come in quel momento la nonna era stata così bella.
La vecchina prese la nipotina in braccio e tutte e due, trasportate da una grande luce, volarono in alto, così in alto dove non c'era fame, freddo né paura.
Erano con Dio.

di Hans Christian Andersen


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view post Posted on 4/12/2013, 14:44
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Mignolina



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C'era una volta una donna che desiderava molto avere una bambina, ma non sapeva come ottenerla; così un giorno andò da una vecchia strega e le disse:
«Desidero dal profondo del cuore avere una bambina, mi vuoi dire come posso fare per averla?».
«Sì, posso aiutarti» disse la strega. «Questo è un granello d'orzo, ma non è di quelli che crescono nei campi del contadino e neppure di quelli che mangiano i polli; mettilo in un vaso e vedrai cosa succederà!»
«Grazie molte» replicò la donna, e diede alla strega dodici centesimi; poi andò a casa, piantò il granello d'orzo e subito crebbe un bel fiore grande, sembrava un tulipano, ma i petali restavano chiusi come fosse ancora una gemma.
«È proprio un bel fiore!» disse la donna, e baciò i petali rossi e gialli, ma mentre lei lo baciava, il fiore, con uno scoppio, si aprì. Era proprio un tulipano, ora lo si poteva vedere, ma in mezzo al fiore, sul pistillo verde, c'era una bambina piccolissima, delicata e graziosa; non era più grande di un mignolo e perciò venne chiamata Mignolina.
Come culla ebbe un bel guscio di noce laccato, petali di viola azzurra erano il suo materasso e un petalo di rosa la coperta così dormiva di notte, ma di giorno giocava sul tavolo, dove la donna aveva messo un piatto pieno d'acqua con tutt'intorno una corona di fiori, coi gambi immersi nell'acqua. Lì galleggiava un grande tulipano e Mignolina vi navigava da un lato all'altro del piatto; per remare usava due peli di cavallo. Era così graziosa; sapeva anche cantare, e così bene non si era mai sentito prima.
Una notte, mentre dormiva nel suo lettino, entrò un brutto rospo femmina saltando dalla finestra, che aveva un vetro rotto. Il rospo era sporco, grande e bagnato e saltò proprio sul tavolo, dove Mignolina dormiva sotto il petalo di rosa rossa.
"Sarebbe un'ottima moglie per mio figlio" pensò il rospo; prese il guscio di noce in cui Mignolina dormiva e saltò attraverso il vetro giù nel giardino.
Passava di li un grande e ampio torrente, ma nel punto più largo era pieno di pantano e fango; proprio lì abitava il rospo con suo figlio. Uh! anche lui era sporco e brutto, assomigliava tutto a sua madre: «Koax, koax, brekke-ke-kex!» fu tutto quel che disse vedendo la graziosa bambina nel guscio di noce.
«Non parlare così forte, altrimenti si sveglia!» disse la vecchia «e potrebbe anche andarsene da noi, dato che è leggera come una piuma di cigno! potremmo metterla nel torrente su una grande foglia di ninfea; per lei che è così leggera e piccola, sarà come un'isola! così non potrà andarsene via mentre noi prepariamo la sala sotto il fango dove dovrete andare a abitare!»


Nel torrente crescevano moltissime ninfee con le larghe foglie verdi che sembrava galleggiassero sull'acqua; la foglia più lontana di tutte era anche la più grande, e lì nuotò il vecchio rospo e depose il guscio della noce con Mignolina.
La poverina si svegliò presto quella mattina e quando vide dove si trovava cominciò a piangere amaramente, perché c'era acqua da tutte le parti della grande foglia verde e lei non poteva raggiungere la terra.
Il vecchio rospo era giù nel fango e stava decorando la sua stanza con giunco e boccioli gialli di ninfea: tutto doveva essere bello per la nuova nuora; poi nuotò col figlio fino alla foglia dove si trovava Mignolina, volevano prendere il suo bel lettino e metterlo nella stanza della sposa prima che vi giungesse lei stessa.
Il vecchio rospo si inchinò profondamente nell'acqua davanti a lei e disse: «Ora vedrai mio figlio, che diventerà tuo marito, e abiterete felicemente nel fango!».
«Koax, koax, brekke-ke-kex!» fu tutto quello che il figlio disse.
Presero il bel lettino e nuotarono via, e Mignolina rimase da sola a piangere sulla foglia verde, perché non voleva abitare con il brutto rospo e neppure sposare il suo brutto figlio. I pesciolini che nuotavano nell'acqua lì vicino avevano visto il rospo e avevano sentito quel che egli aveva detto, quindi si affacciarono per vedere la bambina. Vedendola, la trovarono molto carina e li addolorò molto pensare che dovesse andare a vivere con il brutto rospo. No, non doveva accadere! Si riunirono intorno al gambo che teneva la foglia su cui la bimba si trovava, rosicchiarono il gambo, così la foglia galleggiò via lungo il torrente, via con Mignolina, lontano, dove il rospo non poteva arrivare.
Mignolina passò molti posti, e gli uccellini che erano nei cespugli, vedendola, cantavano: «Che graziosa fanciulla!». La foglia andava sempre più lontano, così Mignolina si trovò all'estero.
Una farfallina bianca continuò a volare intorno a lei e infine si posò sulla foglia, perché Mignolina le piaceva tanto. La piccola era così felice perché il rospo non poteva più raggiungerla e perché tutto era bello intorno a lei: il sole brillava sull'acqua e la rendeva dorata. Allora si tolse la cintura e legò la farfallina alla foglia: in questo modo la foglia viaggiava molto più in fretta e così lei, dato che stava sulla foglia.
Improvvisamente giunse ronzando un maggiolone che la vide e subito la afferrò con la zampa alla vita sottile e la portò in cima a un albero, la verde foglia intanto continuava a galleggiare lungo il torrente e la farfalla la seguiva, dato che era legata alla foglia e non poteva liberarsi.
Dio mio, come si spaventò la povera Mignolina quando il maggiolone la portò volando sull'albero, ma era ancora più addolorata per la bella farfallina bianca che lei stessa aveva legato alla foglia; così non si sarebbe potuta liberare e sarebbe forse morta di fame. Ma di questo il maggiolone non si curava. Si posò con la fanciulla sulla più grande foglia verde dell'albero, le diede da mangiare il polline dei fiori e le disse che era così carina, anche se non assomigliava affatto a un maggiolino. Poi giunsero in visita tutti gli altri maggiolini che abitavano sull'albero; guardarono Mignolina e le giovani maggioline arricciarono le antenne e dissero:
«Ha solo due gambe, che miseria», «Non ha neppure le antenne!», «È così magra in vita, assomiglia a un essere umano! Com'è brutta!».
Così dissero tutte le maggioline, e dire che Mignolina era in realtà così graziosa! E questo lo pensava anche il maggiolone che l'aveva presa, ma quando tutti gli altri dissero che era brutta, alla fine lo credette anche lui. Non la volle più tenere con sé, poteva andare dove voleva. Volarono giù dall'albero e la posarono su una margherita; lei piangeva, perché era così brutta che i maggiolini non la volevano con loro, ma in realtà era la più bella che si potesse immaginare, delicata e luminosa come il più bel petalo di rosa.
Per tutta l'estate la povera Mignolina visse da sola nel bosco. Si fece un letto intrecciando fili d'erba e lo appese sotto una grande foglia di romice che la riparava dalla pioggia; si nutriva col polline dei fiori e beveva la rugiada che ogni mattina trovava sulle foglie; così passò l'estate e l'autunno, ma poi giunse l'inverno, il lungo freddo inverno. Tutti gli uccellini che avevano cantato soavemente per lei erano ormai volati via, gli alberi e i fiori appassivano, la grande foglia di romice sotto cui aveva abitato si arrotolò e divenne un gambo secco e appassito. Mignolina soffriva molto il freddo, i suoi vestiti erano stracciati e lei era così minuta e delicata che avrebbe potuto morirne.


Cominciò a nevicare, e ogni fiocco di neve che cadeva su di lei era come una intera palata di neve gettata su uno di noi, perché noi siamo più grandi e lei era alta solo un pollice. Provò a avvolgersi in una foglia appassita, ma non riuscì a scaldarsi, tremava ugualmente per il freddo.
Appena fuori dal bosco dove si trovava c'era un grande campo di grano, ma il grano era stato raccolto da tempo e ora dalla terra gelata spuntavano solo le stoppie secche e nude. Per lei tuttavia era come attraversare un bosco, e continuava a tremare di freddo. Infine giunse alla porta della casa della topa di campagna. Non era altro che un piccolo buco sotto le stoppie di grano. Lì abitava la topa, in un ambiente caldo, con una stanza piena di grano, una bella cucina e una sala da pranzo.
La povera Mignolina si mise davanti alla porta come una mendicante e implorò un pezzo di grano d'orzo, dato che non aveva mangiato nulla da due giorni.
mignolina «Poverina!» disse la topa, che in fondo era una brava e vecchia topa. «Entra nella mia calda stanzetta e mangia con me.»
Dato che Mignolina le piaceva, le disse: «Puoi restare qui con me per l'inverno, basta che mi faccia un po' di pulizie e che mi racconti delle storie, perché quelle mi piacciono molto» e Mignolina fece quello che la vecchia topa desiderava e si trovò molto bene.
«Avremo presto visite» disse la topa. «Il mio vicino viene a trovarmi ogni settimana. Sta molto meglio di me, ha grandi stanze e indossa una splendida pelliccia nera di velluto. Se tu riuscissi a sposarlo, non avresti più di che preoccuparti; ma purtroppo è completamente cieco. Devi raccontargli tutte le più belle storie che sai.»
Mignolina di questo non si curava, non voleva affatto sposare il vicino, che era una talpa. Venne in visita nella sua nera pelliccia di velluto, era molto ricco e molto colto, diceva la topa, e il suo appartamento era venti volte più grande di quello della topa, ma non poteva sopportare né il sole né i bei fiori; ne parlava molto male, perché non li aveva mai visti. Mignolina dovette cantare e così cantò sia "Vola maggiolino, vola!" che "li monaco va nei prati" ; la talpa si innamorò di lei a causa della bella voce, ma non disse nulla, perché era un uomo posato.
Aveva appena scavato un lungo passaggio nella terra che collegava la sua casa con la loro, e diede alla topa e a Mignolina il permesso di passeggiarvi quando volevano. Però disse anche di non aver paura dell'uccello morto che si trovava in quel passaggio, era un uccello intero, con le ali e il becco, ed era certamente morto da poco tempo - quando l'inverno era cominciato - e era stato sepolto proprio dove lui aveva fatto il passaggio.
La talpa prese un pezzo di legno marcio con la bocca, perché nel buio si illumina, e s'avviò, illuminando alle altre due il lungo e buio passaggio; quando giunsero dove giaceva l'uccello morto, la talpa alzò il largo naso verso il soffitto e spinse la terra, così si formò un grande buco e la luce potè passarvi attraverso. Sul pavimento c'era una rondine morta, con le belle ali strette lungo i fianchi, le zampe e la testa infilate sotto le piume: la poverina era certo morta dal freddo.
«Ora non canta più! Dev'essere triste essere nato uccello! Dio sia lodato, nessuno del miei figli diventerà tale; un uccello non ha altro che il suo cinguettare, e d'inverno muore di fame!».
«È proprio così, come lei dice da quell'uomo assennato che è» aggiunse la topa. «Che cosa ha in cambio dei suoi gorgheggi un uccello, quando viene l'inverno? Deve soffrire la fame e il freddo; ma tant'è, quando si hanno di queste idee grandiose...!»
Mignolina non disse nulla, ma quando gli altri si allontanarono dall'uccello, vi si chinò sopra, allontanò le piume che coprivano il capo e baciò i suoi occhi chiusi. "Forse era proprio lei a cantare così bene questa estate per me!" pensò "quanta gioia mi ha procurato questo caro e grazioso uccello!"
La talpa richiuse il foro da cui penetrava la luce e accompagnò le signore a casa. Ma quella notte Mignolina non riuscì a dormire; allora si alzò, intrecciò con del fieno un grande e bel tappeto e vi avvolse l'uccello; poi vi mise attorno del soffice cotone, affinché avesse un po' di calore pur trovandosi nella fredda terra.
«Addio, bella e piccola rondine!» disse. «Addio e grazie per le tue deliziose canzoni di quest'estate, quando tutti gli alberi erano verdi e il sole ci scaldava così piacevolmente.»
Poi posò la sua testolina sul petto della rondine, e si spaventò terribilmente, perché era come se qualcosa battesse lì dentro. Era il cuore della rondine, che non era morta, ma solo in letargo: ora era stata scaldata e era tornata in vita.
In autunno tutte le rondini volano via per raggiungere paesi più caldi; e se una si attarda, si raggela tanto che cade come morta e resta immobile finché la neve non la copre tutta.
Mignolina tremava per lo spavento, perché la rondine era grande paragonata a lei che era alta solo un pollice; ma si fece coraggio e avvicinò ancora di più il cotone alla poverina, poi andò a prendere una foglia di menta che le serviva da cuscino e gliela mise sotto la testa.
La notte successiva tornò ancora da lei, e la trovò viva, ma così debole che riuscì a malapena a aprire gli occhi per un attimo e a vedere Mignolina che aveva un legno marcio in mano, perché era l'unica luce che aveva.
«Grazie mille, graziosa bambina!» le disse la rondine malata «adesso mi sono scaldata ben bene. Presto riavrò le forze e potrò di nuovo volare fuori al sole.»
«Oh!» esclamò la fanciulla «è così freddo fuori, nevica e è tutto gelato! Se resti nel tuo lettuccio ben caldo, ti curerò io.»
Le portò dell'acqua in un petalo di fiore e la rondine la bevve e raccontò che si era ferita un'ala con un cespuglio spinoso e che per questo non poteva volare veloce come le altre rondini, in viaggio verso i paesi caldi. Alla fine era caduta a terra; di più non ricordava e non sapeva spiegarsi come mai si trovava lì.
Per tutto l'inverno restò nella galleria e Mignolina fu molto buona con lei e le si affezionò; né la talpa né la topa ne vennero a sapere nulla, perché la povera rondine non le interessava.
Non appena giunse la primavera e il sole scaldò la terra, la rondine dovette salutare Mignolina e aprì il buco che la talpa aveva fatto. Il sole penetrava nella galleria e la rondine chiese alla fanciulla se non voleva partire con lei; poteva sedersi sulla sua schiena, e avrebbero volato nel bosco. Ma Mignolina sapeva che se se ne fosse andata, avrebbe addolorato la vecchia topa.
«No, non posso» rispose. «Addio, addio, graziosa fanciulla!» disse la rondine e volò in alto verso il sole. Mignolina la seguì con lo sguardo e gli occhi le si inumidirono, perché voleva molto bene alla rondine.
«Qvit! qvit!» cantava la rondine e volò nel verde bosco.


Mignolina era molto addolorata. Non poteva neppure uscire al sole; il grano, che era stato seminato nel campo sopra la casa della topa, crebbe così alto che era come un fìtto bosco per la povera fanciulla, alta solo un pollice.
«Quest'estate ti devi cucire la dote!» le disse la topa, perché ormai il loro vicino, la noiosa talpa nella pelliccia di velluto nero, si era dichiarato nei confronti di Mignolina. «Devi avere sia la lana che il cotone; avrai biancheria da tavola e da letto, quando sarai la moglie della talpa.»
Mignolina doveva filare e la topa prese a cottimo quattro ragni per tessere giorno e notte. Ogni sera la talpa veniva in visita e diceva sempre che alla fine dell'estate il sole non sarebbe stato così forte: ora aveva bruciato tutta la terra; sì, quando l'estate fosse finita, si sarebbe festeggiato il matrimonio con Mignolina; ma lei non era affatto contenta, perché non le importava nulla della noiosa talpa.
Ogni mattina all'alba e ogni sera al tramonto sgusciava fuori casa e quando il vento muoveva le cime del grano, così da poter vedere il cielo blu, pensava a quant'era bello là fuori, e desiderava tanto poter rivedere la cara rondine, ma quella non giunse mai, era certo volata via verso i bei boschi verdi.
Venne l'autunno e Mignolina aveva la dote pronta.
«Tra quattro settimane ti sposi!» le disse la topa. Ma Mignolina pianse e rispose che non voleva sposare la noiosa talpa.
«Quante storie!» disse la topa «non intestardirti, altrimenti ti do un morso con i miei denti bianchi! È proprio un brav'uomo quello che sposi; neppure la regina ha una pelliccia come la sua. E ha sia la cucina che la cantina piene: dovresti invece ringraziare il Signore.»
E venne il giorno delle nozze. La talpa era già giunta per prendere Mignolina, che avrebbe dovuto abitare con lui nella profondità della terra, e non avrebbe mai più potuto uscire al sole, che le piaceva tanto.
La poverina era così triste, avrebbe dovuto dire addio al bel sole; almeno, stando dalla topa aveva il permesso di vederlo dalla porta.
«Addio, bel sole!» disse, e allungò le braccine in alto, e così facendo uscì un po' dalla casa della topa; ormai il grano era stato tagliato e c'erano solo stoppie secche. «Addio, addio!» gridò e buttò le sue braccine intorno a un fiorellino rosso. «Saluta la rondinella da parte mia, quando la vedi.»
«Qvit, qvit!» si sentì in quel momento sopra di lei; Mignolina guardò in alto e vide la rondinella che passava proprio di lì. Non appena la vide, la rondine si rallegrò; Mignolina le raccontò che non voleva sposare la brutta talpa e andare a abitare sotto terra, rinunciando per sempre a vedere il sole. E mentre parlava non tratteneva le lacrime.
«Adesso giunge il freddo inverno» le disse la rondinella. «Io volo lontano, verso i paesi caldi; vuoi venire con me? Puoi sederti sulla mia schiena. Puoi legarti con la cintura e così voliamo via dalla brutta talpa e dalla buia casa, lontano, oltre i monti, fino ai paesi caldi, dove il sole splende ancora più bello e dove è sempre estate e ci sono i fiori. Vola via con me, Mignolina, tu che hai salvato la mia vita quando giacevo congelata nella buia terra.»
«Sì, voglio venire con te!» rispose Mignolina, e si mise sulla schiena, posò i piedi sulle ali spiegate, fissò la cintura a una delle penne più robuste, e così la rondine si sollevò nell'aria, oltre il bosco e il mare, oltre le montagne sempre innevate; Mignolina sentiva freddo in quell'aria gelata, allora si infilò sotto le calde piume dell'uccello e tenne fuori solo la testolina per vedere tutte le meraviglie sotto di lei.
Così giunsero nei paesi caldi. Il sole splendeva ancora più luminoso che da noi, il cielo era più alto, sugli argini e sulle siepi cresceva l'uva più stupenda, verde e nera. Nei boschi pendevano dagli alberi limoni e arance, c'era profumo di mirto e di menta, e sulle strade di campagna i più graziosi bambini giocavano con grandi e variopinte farfalle. Ma la rondine volò oltre e tutto divenne ancora più bello. Sotto bellissimi alberi verdi, vicino al mare blu, c'era uno splendido castello di marmo bianco, dei tempi passati, e tralci di vite si avvolgevano ai pilastri; in cima c'erano molti nidi di rondine e in uno di questi abitava la rondine che portava Mignolina.
«Questa è la mia casa!» disse la rondine «ma se tu vuoi scegliere uno dei bei fiori, che crescono laggiù, io ti poserò lì e non potrai desiderare di meglio.»
«Che meraviglia» esclamò la fanciulla, battendo le manine.
C'era un grande pilastro di marmo caduto che s'era spezzato in tre pezzi, ma tra questi crescevano bellissimi fiori bianchi. La rondine volò laggiù con Mignolina e la posò su uno di quei larghi petali. Che sorpresa fu trovarvi dentro un omino candido e trasparente come fosse stato di vetro; portava sul capo una bella corona d'oro e aveva bellissime ali lucenti sulle spalle; e non era più alto di Mgnolina.
Era lo spirito del fiore. In ogni fiore abitava un omino o una donnina come lui, ma lui era re di tutti gli altri.
«Dio mio, com'è bello» sussurrò Mignolina alla rondine.
Il principino si spaventò molto a causa della rondine, che era proprio gigantesca rispetto a lui così piccolo e delicato, ma quando vide Mignolina si rallegrò, perché era la fanciulla più bella che avesse mai visto.
Prese la sua corona d'oro e gliela mise sul capo, le chiese come si chiamava e se voleva diventare sua sposa, così sarebbe diventata regina di tutti i fiori! Certo era un marito ben diverso dal figlio del rospo e dalla talpa con la pelliccia di velluto nero.
Lei disse di sì al bel principino, e subito uscirono da ogni fiore tanti omini e tante donnine, così graziosi che era un piacere vederli. Ognuno aveva un dono per Mignolina, ma il più bello fu un paio di graziose ali di una mosca bianca; vennero fissate alla schiena di Mignolina, così anche lei poteva volare da un fiore all'altro. Che gioia! e la rondinella tornò al suo nido e cantò per loro meglio che potè, ma in fondo al cuore era triste, perché voleva molto bene a Mignolina e non avrebbe voluto separarsi da lei.
«Non ti chiamerai più Mignolina!» le disse lo spirito del fiore «è un brutto nome e tu sei invece così bella. Ti chiameremo Maja!»
«Addio! Addio!» esclamò la rondinella e volò via di nuovo dai caldi paesi per andare lontano fino in Danimarca; lì aveva un piccolo nido sopra una finestra, dove vive colui che sa raccontare tante storie, e «Qvit, qvit» si mise a cantare per lui.
È così che conosciamo tutta la storia.

xgLfCBM




di Hans Christian Andersen


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view post Posted on 31/12/2013, 15:25
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La Fiaba di Capodanno


EdB9He3

Ogni volta che guardava il mare, sentiva la voce di un amico e quell’amico era in sintonia con lui: non c’era stata volta che il mare non fosse stato in burrasca quando lui era turbato e piatto quando lui era in pace con se stesso. Arturo, come ogni giorno, girava poi le spalle al suo azzurro amico allontanandosi verso casa. Mentre attraversava quell’antico borgo di mare, si sentiva un fantasma ancora più antico del paese stesso. Ormai neanche le case, che lo avevano visto nascere, si degnavano di regalargli un sorriso mentre passava davanti a loro, figuriamoci persone arrivate lì pochi anni prima e con un quarto degli anni di Arturo sulle spalle.
Arrivato a casa controllò la posta, sicuro di trovarla vuota come la sua vita. Invece trovò una busta che lo attendeva nella penombra della cassetta. La aprì convinto che il postino avesse preso un abbaglio e lesse:

“Gentile umano. Siamo lieti di invitare la signoria Vostra, alla nostra riunione annuale, che si terrà nell’abetaia sotto la grande montagna, il 31/12 a mezzanotte. Firmato: le vostre più fedeli compagne di viaggio.”

Rilesse, poiché forse gli occhi lo avevano tradito ma non era così: dei fantomatici personaggi lo avevano invitato la notte di Capodanno ad una riunione, lui che non passava un Capodanno in compagnia di qualcuno da almeno dieci anni. Sarebbe stato pericoloso andarci? In fondo cosa importava, a ottantacinque anni, qualsiasi svolta nella sua vita era ben accetta.

Arrivò il trentuno dicembre.

Il paese si preparava per far esplodere l’anno che volgeva al termine ma Arturo si sentiva fuori da questi preparativi. L’adrenalina però aveva fatto visita anche a lui quel giorno. Si sentiva elettrizzato all’idea di scalare una montagna nel cuore della notte e raggiungere un luogo dove effettivamente, non sapeva chi ci fosse ad aspettarlo.
Alle dieci iniziò la sua scalata, ci sarebbero volute almeno un paio d’ore per raggiungere l’abetaia e a ottantacinque anni…….bè meglio stare larghi!

Circa mezz’ora prima della mezzanotte quei sempreverdi erano lì davanti a lui, immersi in un silenzio che faceva bene all’anima. I botti e i rumori della città in festa sembravano gli echi di una lontana battaglia. Lì regnava la pace.

Arturo si incamminò tra gli alberi, respirando l’umidità del bosco. L’oscurità aveva invaso tutto e quella luce che proveniva dal fondo del'abetaia era messa ancora più in risalto. Arturo si diresse verso la luce. Scoprì che proveniva da una grotta, di cui tra l’altro non conosceva l’esistenza. Si inoltrò nel buio iniziale della caverna, lì l’umidità si intensificò, si diresse verso il fondo, verso la luce……..

“Benvenuto uomo!”, la voce era forte e rimbombò tra le pareti.

Ad un lungo tavolo erano sedute delle strane creature, alcune bianche e alcune nere, simili a fate o almeno all’immagine di fata che Arturo si era fatto.

"Ti chiederai chi siamo, Arturo. Presto detto: siamo le domande. E’ da quando sei nato che stiamo vicino a te e ai tuoi simili, da quando cominciasti a chiederti se fossi riuscito ad alzarti in piedi, aiutandoti con il divano di casa a quando cominciasti invece a chiederti se esserti alzato e camminare avesse avuto un senso. Ma non è tutto, qui sono presenti questa sera, altre sorelle, diciamo più famose. Si tratta delle domande che hanno generato grandi invenzioni. Quella che vedi seduta lì è la domanda che si è posto l’uomo quando cercò di creare qualcosa su cui trasportarsi e trasportare le cose, così nacque quella che tu conosci come ruota. Ma l’elenco sarebbe lunghissimo, non ti posso presentare tutte loro una per una, ma ti assicuro, sono tutte qui. Quest’anno abbiamo pensato ad una novità: uno della tua specie, avrebbe partecipato alla nostra riunione e arrivo subito a spiegarti il perché. Visto che sei uno degli esseri che ci ha create, forse puoi risolvere un nostro problema. Come vedi alcune di noi sono nere. Il motivo e’ che sono domande a cui non sono state trovate risposte e noi abbiamo pensato, chi meglio di un uomo può illuminarci? Perché generate alcune di noi, se poi non trovate loro un degno compagno, una degna risposta?”

Arturo era sconcertato. Strano era che quello che lo sconcertava maggiormente non era la situazione paradossale in cui si trovava ma quell’ultima domanda, fatta da una domanda e a cui lui non si sentiva in grado di dare una risposta. Gli venne da sorridere, perché quegli strani esseri lo avevano scambiato per Dio.

“Beh, Arturo, che tu sia comunque il benvenuto, che tu abbia o no una risposta e Buon Anno Nuovo!”

Era mezzanotte in punto e la lontana battaglia si intensificò.

Il mondo stava festeggiando un nuovo anno e nuove domande, che l’anno successivo avrebbero festeggiato in quella grotta. Arturo si commosse pensando che, su tutta l’umanità, fosse stato scelto proprio lui per quell’incontro anche se purtroppo non poteva essere molto d’aiuto.

Si girò dirigendosi verso l’uscita della grotta quando si accorse che le “fate nere” si erano alzate e lo seguivano.

Si girò e vide che lo stavano guardando con occhi pieni di speranza.

Prese per mano le domande senza risposta e si addormentò con loro.

Le portò con sé in un luogo dove esse divennero di un bianco lucente, dove trovarono le anime gemelle tanto cercate: le risposte a ognuna di esse, molte delle quali, in realtà risiedevano già nelle piccole cose di tutte i giorni e nelle grandi cose della vita.
omino di neve




di Darkfanio degli amici del Forum di Pinu


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view post Posted on 20/12/2023, 13:16
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🎄🎄🎄🎄La Piccola Fiammiferaia 🎄🎄
di H. C. Andersen


Era l'ultimo giorno dell'anno: faceva molto freddo e cominciava a nevicare. Una povera bambina camminava per la strada con la testa e i piedi nudi. Quando era uscita di casa, aveva ai piedi le pantofole che, però, non aveva potuto tenere per molto tempo, essendo troppo grandi per lei e già troppo usate dalla madre negli anni precedenti. Le pantofole erano così sformate che la bambina le aveva perse attraversando di corsa una strada: una era caduta in un canaletto di scolo dell'acqua, l'altra era stata portata via da un monello. La bambina camminava con i piedi lividi dal freddo. Teneva nel suo vecchio grembiule un gran numero di fiammiferi che non era riuscita a vendere a nessuno perché le strade erano deserte. Per la piccola venditrice era stata una brutta giornata e le sue tasche erano vuote. La bambina aveva molta fame e molto freddo. Sui suoi lunghi capelli biondi cadevano i fiocchi di neve mentre tutte le finestre erano illuminate e i profumi degli arrosti si diffondevano nella strada; era l'ultimo giorno dell'anno e lei non pensava ad altro! Si sedette in un angolo, fra due case. Il freddo l'assaliva sempre più. Non osava ritornarsene a casa senza un soldo, perché il padre l'avrebbe picchiata. Per riscaldarsi le dita congelate, prese un fiammifero dalla scatola e crac! Lo strofinò contro il muro. Si accese una fiamma calda e brillante. Si accese una luce bizzarra, alla bambina sembrò di vedere una stufa di rame luccicante nella quale bruciavano alcuni ceppi. Avvicinò i suoi piedini al fuoco... ma la fiamma si spense e la stufa scomparve. La bambina accese un secondo fiammifero: questa volta la luce fu così intensa che poté immaginare nella casa vicina una tavola ricoperta da una bianca tovaglia sulla quale erano sistemati piatti deliziosi, decorati graziosamente. Un'oca arrosto le strizzò l'occhio e subito si diresse verso di lei. La bambina le tese le mani... ma la visione scomparve quando si spense il fiammifero. Giunse così la notte. "Ancora uno!" disse la bambina. Crac! Appena acceso, s'immaginò di essere vicina ad un albero di Natale. Era ancora più bello di quello che aveva visto l'anno prima nella vetrina di un negozio. Mille candeline brillavano sui suoi rami, illuminando giocattoli meravigliosi. Volle afferrarli... il fiammifero si spense... le fiammelle sembrarono salire in cielo... ma in realtà erano le stelle. Una di loro cadde, tracciando una lunga scia nella notte. La bambina pensò allora alla nonna, che amava tanto, ma che era morta. La vecchia nonna le aveva detto spesso: Quando cade una stella, c' è un'anima che sale in cielo". La bambina prese un'altro fiammifero e lo strofinò sul muro: nella luce le sembrò di vedere la nonna con un lungo grembiule sulla gonna e uno scialle frangiato sulle spalle. Le sorrise con dolcezza.
- Nonna! - gridò la bambina tendendole le braccia, - portami con te! So che quando il fiammifero si spegnerà anche tu sparirai come la stufa di rame, l'oca arrostita e il bell'albero di Natale.
La bambina allora accese rapidamente i fiammiferi di un'altra scatoletta, uno dopo l'altro, perché voleva continuare a vedere la nonna. I fiammiferi diffusero una luce più intensa di quella del giorno:
"Vieni!" disse la nonna, prendendo la bambina fra le braccia e volarono via insieme nel gran bagliore. Erano così leggere che arrivarono velocemente in Paradiso; là dove non fa freddo e non si soffre la fame! Al mattino del primo giorno dell'anno nuovo, i primi passanti scoprirono il corpicino senza vita della bambina. Pensarono che la piccola avesse voluto riscaldarsi con la debole fiamma dei fiammiferi le cui scatole erano per terra. Non potevano sapere che la nonna era venuta a cercarla per portarla in cielo con lei. Nessuno di loro era degno di conoscere un simile segreto!


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fonte fb

 
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21 replies since 28/4/2013, 19:30   226 views
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